CAPITOLO I
Ho pensato di scrivere un’ultima parola (per quanto mi è possibile nei languori di questo esilio e pellegrinaggio) sul distacco completo da tutte le cose; e sull’unione libera, sicura, assoluta e totale con Dio. Il fine della perfezione cristiana, infatti, non è altro che la carità che a Dio ci unisce. L’uomo che vuol giungere a salvezza è obbligato a questa unione di carità, e deve per conseguenza praticare i divini precetti e conformarsi alla divina volontà.
Tale vita escluderà tutto ciò che ripugna all’essenza della virtù della carità, cioè il peccato mortale.
Ma i religiosi si sono votati inoltre alla perfezione evangelica e alle opere di supererogazione e di consiglio, per arrivare più facilmente al loro fine ultimo che è Dio. Per cui essi evitano ciò che potrebbe impedire l’atto e il fervore della carità e ostacolare il loro slancio verso Dio.
Essi hanno rinunciato a tutti i beni del corpo e dell’ingegno e non osservano che il voto della loro professione religiosa.
Dio è spirito, e coloro che l’adorano devono adorarlo “in spirito e verità”, devono cioè adorarlo con una conoscenza e un amore, una intelligenza e una volontà spogli da ogni illusione terrena.
Infatti il Vangelo dice: “Quando adorate, entrate nella vostra casa” ossia nell’intimo del vostro cuore e “dopo aver chiusa la porta” dei vostri sensi, con cuore puro, con coscienza senza rimproveri e con fede senza finzione “pregate il Padre in spirito e verità, nel segreto della vostra anima”.