Entrando nel mondo come uomo, Dio eleva la sofferenza alla categoria del suo amore infinito ed eterno, la accetta, la subisce, ne gusta l’amara esperienza. Per amore la sua umanità identica alla nostra patisce una sofferenza infinita, la cui misura non è determinata dagli eventi e dalle responsabilità degli uomini di quel tempo ma dalla stessa misura del suo amore. Al momento della crocifissione, infatti, il dolore di Cristo, epifania dell’amore trinitario, cessa di essere passiva accettazione del male derivante dall’agire umano, per divenire libera espressione dell’amore dilatato a misura della sua divinità che accetta di darsi tra i più atroci patimenti. Il dono non compreso dell’amore, sovrabbonda dove ha abbondato il peccato di tutti i tempi, riversandosi anche sui giusti che lo hanno preceduto e atteso.
L’amore redentivo sulla croce, in quanto atto di Dio, trascende il tempo e, penetrando ogni momento della storia, cancella tutti i peccati del mondo e alleggerisce, assumendolo nella propria sofferenza, il dolore di tutti i credenti, che in esso trova pieno compimento.
Nell’orto degli ulivi Gesù manifesta ai discepoli la propria afflizione per ammetterli alla piena comunione con tutti gli stati della sua anima in vista dell’unione totale e indissolubile nell’Eucarestia. Entrando nell’intimità della sua preghiera col Padre, alla quale non avevano mai partecipato, i discepoli sono ammessi a un nuovo modo inimmaginabile di pregare; partecipando alla preghiera di Gesù compiono lo stesso atto e, grazie alla comunione, pur nella diversità dell’oggetto della richiesta saranno uniti a lui nella stessa preghiera, propria della Chiesa, che supera le distanze spaziali, interpersonali ed esistenziali nella piena condivisione e comunione.
Gesù è condotto verso il compimento della sua missione dallo Spirito, testimone della sua sofferenza e rivelatore della verità dei suoi patimenti; l’Amore rivela se stesso nell’agire del Figlio di Dio e, riconsegnato al Padre nella piena obbedienza alla sua volontà, diviene dono ai credenti del Padre e del Figlio che inaugurano il tempo dello Spirito nella Chiesa.
Il Signore, nella sua sovrana libertà, ammette alcuni alla partecipazione dei suoi patimenti; questi, in sintonia con l’esortazione dell’apostolo Pietro (1 Pt 4,13) sono lieti delle sofferenze che sopportano e completano nella loro carne quello che manca ai patimenti di Cristo (Cfr.: Col 1, 24). Tali sofferenze, sopportate in unione a Cristo Gesù, acquistano valore corredentivo e non sono mai separate dalla gioia dell’unione che si consuma nel centro dell’anima. La sospensione della consapevolezza dell’unione, o stato di abbandono simile a quello di Gesù in croce, non compromette la serena accettazione e l’offerta di sé, frutto della volontà ormai completamente consacrata alla volontà di Dio. Il discernimento del direttore interpreta la natura e il senso del patire e incoraggia a un’offerta sempre più generosa a favore della Chiesa che ne riceve il frutto e, nell’esercizio del suo ministero, contempla e sostiene la sofferenza dei fratelli che con Cristo e in Cristo, nei patimenti glorificano il Padre e dal Padre sono glorificati.