“I Vescovi, in quanto inseriti nel Collegio episcopale, che succede al Collegio apostolico, sono intimamente uniti a Cristo Gesù, che continua a scegliere e a mandare i suoi apostoli”: così il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi.
Elevo la mia lode alla Trinità che alla stregua degli Apostoli mi costituisce testimone della morte e della risurrezione di Gesù tramite un’intima unione sacramentale con lui; per mezzo di essa porta a pienezza l’opera che lo Spirito ha iniziato da tempo all’interno della mia persona e mi pone dinanzi alla Chiesa e al mondo. Testimone della morte di Gesù: quella che egli ha accolto in sé dalla mano di uomini e che offre nel tempo a coloro che invita al compimento del segno battesimale nella sequela radicale. Testimone di una tensione drammatica, alimentata all’esterno dal rifiuto o anche dall’oblio di Dio, propri dell’uomo contemporaneo, e all’interno dalle pretese di un “io” che fa fatica a deporre ogni attaccamento e ad abbandonarsi da figlio al Padre e alla Chiesa. E se il testimone ha respirato, impregnandosene, l’aria secolarizzata che oggi tutto pervade, è questa morte di Gesù accolta nella propria esistenza a rompere in lui il circolo vizioso degli interessi secolari per lasciare irrompere la libertà della trascendenza e della gratuità dell’amore divino. Se l’annuncio della morte di Gesù suona inevitabilmente duro all’uomo ripiegato su di sé, in realtà nasconde la vita, apre alla vita così come la conchiglia nasconde la perla e la lascia intravedere nella modalità sorprendente ed inattesa del mistero pasquale. “Uccidendo, morte in vita hai mutato” canta Giovanni della Croce.
In una società frammentata e ferita, intrisa di secolarismo, che appare come un altro nome per indicare l’uomo vecchio e carnale dell’apostolo Paolo, il testimone ha superato la paura di lasciarsi penetrare dal soave cauterio che è la spada della Parola resa rovente dallo Spirito, perché si apra in lui un varco-feritoia da cui indicare personalmente al popolo la speranza di quel che egli ormai vede, sa e tocca con mano: una vita più grande, un’unità tanto intima con l’Amato da dimenticare se stesso, da essere felicemente espropriato dal sé per vivere esposto a vantaggio della Sposa dell’Amato. Di certo, egli non si accinge a ciò senza risentire in sé un vero sgomento, forse simile a quello che colse Gregorio Magno nel riflettere sulla parola del profeta Ezechiele e sul suo ministero: “Figlio dell’uomo, ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele” (Ez 3,17). La sentinella siede nell’elevatezza dello spirito e sta in alto con la vita per giovare con la sua preveggenza, superando così le opere di coloro che gli sono affidati. Ma ecco esplodere il lamento di dolore del grande Pontefice: “Quanto mi sono dure queste cose che dico, perché parlando ferisco me stesso”, dacché non possiedo né vita né lingua elevate a sufficienza. Tuttavia non posso tacere – protesta quel Padre – e parlerò affinché la parola di Dio risuoni attraverso di me anche contro di me”. In questa angustiante condizione viene in aiuto il medesimo Gregorio ricordando che presso il Giudice supremo la stessa conoscenza della colpa è invocazione di perdono, mentre la maestà di Lui può donare all’indigente l’altezza della vita e l’efficacia della parola. (Om. su Ez. I, XI, 4).
“Il Vescovo, come successore degli Apostoli, in forza della consacrazione episcopale e mediante la comunione gerarchica, è il principio visibile e il garante dell’unità della sua Chiesa particolare”: continua ancora il Direttorio, spiegando che egli è il principio visibile di un’unità che non sopprime o semplicemente assomma le singolarità di ciascuna persona, i doni e le capacità espressive di lei, bensì garantisce l’esaltazione di questa singolarità nel momento in cui tiene coeso e ordinato il Corpo di Cristo, offrendo a ciascun membro la possibilità di esser se stesso. Sono, invece, la frammentazione e l’isolamento individualistico, come pure il comunitarismo totalizzante a deteriorare e a sfuocare il volto della singolarità, sfigurandone i tratti peculiari.
L’unità del Vescovo con il Cristo Pastore e l’unità della Chiesa particolare sono quasi due facce della stessa medaglia, perché sono la stessa vita della divinità tripersonale, adesso offerta e realizzata nella vita ecclesiale. Il nostro Dio conosce ed accoglie la differenza in se medesimo, senza perdere la sua perfetta unità nemmeno nella lacerazione della distanza, accaduta nella incarnazione, passione e morte del Figlio. C’è un’originaria unione di differenti in Lui, da farci dire che la differenza delle Persone è la condizione per uno scambio e una comunione. Ogni Persona in Dio possiede l’intero proprio essere solo da parte delle altre e in vista delle altre Persone, realizzando così questo suo essere e questa autonomia in e mediante le altre, anzi non potendo esistere o venir pensata senza le altre Persone. Nel Dio di Gesù Cristo quanto più le Persone si differenziano e crescono nell’autonomia, tanto più è grande la loro unità. Si vorrebbe dire, prendendo a prestito le parole di una donna del secolo scorso, Adrienne von Speyr, in Dio «ciascuno partecipa se stesso all’altro in maniera che non è perciò costretto ad essere meno se stesso». Questa communio non è generica o casuale; il Padre è principio e garante di un ordine interno che crea e consiste nell’unità. Così il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi ha motivo di sottolineare che il Vescovo manifesta con la sua vita e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l’autorevolezza di Cristo, e anche la perenne vitalità dello Spirito Santo, che anima la Chiesa e la sostiene nell’umana debolezza. In questo spirito, ho accolto con gioia le parole che il Santo Padre ha rivolto il 15 settembre scorso a noi Vescovi di recente nomina: “Il dono fondamentale che siete chiamati ad alimentare nei fedeli affidati alle vostre cure pastorali è prima di tutto quello della filiazione divina, che è partecipazione di ciascuno alla comunione trinitaria. L’essenziale è che diventiamo realmente figli e figlie nel Figlio”. Al Santo Padre va il mio filiale ringraziamento sia per la ricca e sapiente parola con la quale ci nutre, ci ammonisce e ci conduce, sia per avermi chiamato al ministero episcopale affidandomi la Chiesa di Acireale.
“Tra le diverse immagini quella del pastore, – continua il Direttorio – con particolare eloquenza, illustra l’insieme del ministero episcopale, in quanto manifesta il suo significato, il suo fine, il suo stile, ed il suo dinamismo evangelizzatore e missionario. Cristo Buon Pastore indica al Vescovo la quotidiana fedeltà alla propria missione, la piena e serena dedizione alla Chiesa, la gioia di condurre verso il Signore il Popolo di Dio che gli viene affidato e la felicità nell’accogliere nell’unità della comunione ecclesiale tutti i figli di Dio dispersi”. Con felice intuizione, perciò, la Chiesa acese ha infiorato il bastone pastorale, di cui oggi mi fa dono, con l’immagine di Gesù Buon Pastore, sì che io abbia sempre innanzi l’unico Pastore delle nostre anime nel guidare il Suo gregge a me affidato come fedele amministratore. Questa Chiesa di Acireale desidero ringraziare per l’accoglienza colma di entusiasmo riservatami fin dallo scorso 26 luglio e manifestatami in diversi modi nei due mesi intercorsi: il clero, gli uomini e le donne di vita consacrata, le famiglie, i giovani e gli anziani. Sono davvero contento di venire a voi e camminare insieme verso Cristo! In modo speciale ringrazio S.E.R. mons. Pio Vittorio Vigo per il servizio che ha reso finora a questa Chiesa da pastore prudente, da padre buono, da guida generosa. A me, inoltre, egli si è rivolto con la Sua proverbiale affabilità introducendomi lentamente nella nuova missione. Grazie, Eccellenza! E poi ho il privilegio di condividere la fraternità episcopale con mons. Cannavò, mons. Malandrino e mons. Rapisarda, che vivono con noi. Grazie, Eccellenze, per avermi offerto l’amabile conforto della vicinanza.
Il mio cuore palpita ancora per la Chiesa di Trapani, che mai dimenticherò, perché mi ha generato nella fede e nel sacerdozio ministeriale. A Lei devo tutto. Ai vescovi che ho conosciuto, le Eccellenze Ricceri, Romano, che mi ha ordinato diacono e presbitero, Amoroso e l’attuale mons. Miccichè, esprimo un filiale affetto e una gratitudine che non riesco a dire con molte parole; unitamente a loro scorrono nella mia mente i volti di numerosi sacerdoti e laici che mi sono stati di esempio, di sostegno, di guida e di compagnia nell’ardimento della lotta ideale. Li porto tutti nella preghiera affinché il Signore conceda Loro piena ricompensa per l’amicizia e la fraternità delle quali mi hanno onorato. Alcuni di essi sono qui presenti, a rappresentare tutti gli altri, anche quelli che non sono più su questa terra ed io li abbraccio. Tutti costoro saluto ancora affettuosamente nella persona del Vescovo mons. Francesco Miccichè, che mi accompagna da tempo fino al passaggio così decisivo come quello odierno. Grazie, Eccellenza!
Dal 1977 la mia vita e il mio servizio presbiterale sono stati considerati dai superiori, dalla gente e da me stesso legati alla Facoltà Teologica di Sicilia. Vi ho incontrato persone magnifiche, che mi hanno insegnato a penetrare con intelligenza amorosa il dono della fede. Ringrazio i Gran Cancellieri, a partire dal primo e indimenticabile cardinale Pappalardo, i colleghi, gli studenti con il loro entusiasmo nell’apprendere, e il personale tutto. Mi limito a ricordare solo alcuni colleghi defunti, anzitutto il caro e indimenticabile mons. Cataldo Naro, divenuto arcivescovo di Monreale, p. Basilio Randazzo, d. Salvatore Privitera e Silvana Manfredi, deceduti nel volgere di pochi anni: li ho avuto maestri ed amici nel Signore. Continuo ad elevare la mia preghiera al buon Dio per questa Istituzione ecclesiale, tanto preziosa per le Chiese di Sicilia, e formulo ad essa gli auguri nella persona del preside d. Rosario La Delfa. Ringrazio Lei, signor cardinale Salvatore De Giorgi, per avermi voluto ed accompagnato nei primi passi della mia presidenza con affetto paterno e spirituale predilezione. In modo speciale ringrazio Lei, signor cardinale Paolo Romeo, perché al Suo arrivo a Palermo ha mostrato subito verso di me stima e benevolenza, dandomi fiducia in molteplici atti e passaggi, e soprattutto accettando di consacrarmi vescovo e vescovo di questa Chiesa, che Le ha dato i natali. Diventano molteplici e significativi i contesti che adesso mi legano alla Sua persona e al suo ministero; non posso che gioirne.
Un pensiero grato rivolgo ai nuovi confratelli nell’episcopato e in particolare ai confratelli operanti in Sicilia, con i quali più direttamente mi troverò a collaborare. Cari fratelli, avevo avuto modo di esservi collaboratore negli anni della mia presidenza in Facoltà; vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete prontamente accolto nell’ordine dei Vescovi. Tra questi annovero anche l’amico fraterno S.E. mons. Crociata, per la lunga consuetudine avuta con lui in Facoltà Teologica. E S.E. mons. Bonanno, “compagno di scuola” al corso per i Vescovi di recente nomina. Una coincidenza provvidenziale ha voluto, inoltre, che un presbitero della Chiesa di Acireale in un tempo ravvicinato al mio fosse elevato alla dignità dell’episcopato e ricevesse l’ordinazione a sette giorni di distanza dalla mia: S.E. mons. Giuseppe Sciacca. Con stupore accolgo questa bella coincidenza e a lui formulo i voti di ogni benedizione divina.
Un saluto e un ringraziamento alle autorità civili e militari intervenute stasera o che mi hanno rivolto parole augurali, scusandosi per non poter presenziare all’ordinazione. La Loro presenza gentili signori, è un segno della stima con la quale hanno guardato alla mia persona come sacerdote e della disponibilità che hanno mostrato e mostrano verso la comunità ecclesiale.
Grazie a tutti voi, sacerdoti, diaconi, religiosi, seminaristi, amici e fedeli, venuti ad accompagnarmi ad Acireale dai diversi posti nei quali ho vissuto o svolto sin qui il ministero, in Sicilia, in Italia, a Roma presso la Congregazione per l’Educazione Cattolica, presso la CEI e presso l’Unione degli Editori Cattolici UELCI, in Francia e negli Stati Uniti. Assicuro a tutti la mia preghiera come sono certo della vostra. Grazie a voi, clero, religiosi e laici acesi, qui convenuti numerosi per elevare suppliche al Signore in questa solenne liturgia per la mia persona e il ministero che mi attende.
Menziono, infine, la mia famiglia, i miei genitori, mia madre qui e mio padre in cielo, perché verso di loro ho un dolce debito, non soltanto naturale ma anche di fede, che solo la ricchezza della grazia divina potrà saldare. E ancora la famiglia Saint-Jean-de-la-Croix di Courtioux insieme alla Confraternita Beata Vergine Maria del Monte Carmelo di Erice, verso i quali pure il debito è maggiore del credito, e ai quali continuo a guardare come a canale di grazia per me nel futuro.
Avrò dimenticato tanti altri e me ne scuso. Non posso tacere, tuttavia, tutti coloro che hanno curato l’evento di questo giorno, sotto la guida del vescovo Vigo.
Grazie a tutti e rimaniamo uniti nello Spirito di Cristo effuso nei nostri cuori e raccolti ai piedi della santa Madre di Dio.