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Il Rito Bizantino. Studio dedicato al sostegno della preghiera per l’unità dei cristiani

Rito complesso che si può a giusto titolo qualificare ecumenico, esso costituisce, per molteplici versi, la liturgia di gran lunga più largamente diffusa e più rappresentativa di quelle dell’Oriente cristiano. Il rito Bizantino si è formato tra il VI e il IX secolo nel contest o privilegiato della  Grande Chiesa di Costantinopoli S. Sofia e nei grandi monasteri della città imperiale. Ricevette la sua forma definitiva al tempo della riforma dei Paleologi (1261-1453), specialmente nei monasteri dell’Atos, il cui rinnovamento spirituale, detto “Esicasto”, si irraggiava ben al di là delle anguste frontiere dell’ultimo Impero Bizantini, attraverso il mondo slavo che aveva adottato questo rito in lingua slavone fin dagli ultimi decenni dell’viii secolo al tempo della cristianizzazione dei Bulgari, che lo trasmisero ai Russi un secolo più tardi e poi ai Serbi che si costituirono in Chiesa nel xiii secolo.

Le frazioni degli antichi patriarcati d’Alessandria e d’Antiochia, quello di Gerusalemme fedeli alla dottrina caledoniana ed agli usi dell’Impero – da qui la loro qualificazione di “Melchiti” (imperali) – l’adottarono con qualche minima variante poco prima del XII secolo, dapprima in lingua siriaca, poi in arabo a partire dai secoli XV e XVI. Sotto la forma stabilita dalle versioni slavoni, arabe ed altre, il rito bizantino è divenuto la liturgia di tutte le chiese ortodosse e – con qualche latinismo, specialmente presso i Ruteni Ucraini – da parte delle comunità che hanno ristabilito l’unione con Roma.

La forma antica della liturgia di Costantinopoli, anteriormente al X secolo, può essere in modo approssimativo ricostruita grazie al commento della liturgia eucaristica attribuito al patriarca Germano(715-730), nucleo della Historia ecclesiastica medievale, attraverso alcuni Typika o Ordinamenti degli uffici dei secoli X-XI e delle dissertazioni tardive di Simeone, arcivescovo di Tessalonica († 1429), città che più fedelmente della stessa capitale aveva conservato gli usi antichi. In effetti, dopo la crisi iconoclastica (726-8439) e l’arrivo a Costantinopoli di numerosi monaci siro-palestinesi, in particolare al monastero di san Giovanni Prodromo, detto Studion, focolare di resistenza alla politica imperiale, numerosi usi monastici e soprattutto l’adozione dell’ordinamento degli uffici (Tykicon) della Laura palestinese di S. Saba orientalizzarono profondamente l’antico rito di Costantinopoli.

E’ in questa prospettiva che furono riorganizzati i libri per la celebrazione dell’Ufficio delle Ore: Paraclitikê quotidiana secondo un ciclo di otto settimane corrispondenti – abbastanza arbitrariamente – ai toni della salmodia e la cui organizzazione fu attribuita a S. Giovanni Damasceno, Triodon della Quaresima e Pentecostarion del tempo pasquale secondo la tradizione del monastero dello Studion. In questi uffici fu riservato un posto preponderante, secondo la tradizione siro-palestinese, all’innografia: tropari (strofe), isolati o raggruppati in Canoni, in funzione delle Odi scritturali dell’Ufficio del mattino.

Per la liturgia eucaristica – detta «Divina Liturgia» l’anafora d’origine antiochena che va sotto il nome di Giovanni Crisostomo tende sempre più a prevalere sull’anafora cappadoce di S. Basilio, molto più lunga, il cui uso fu riservato alle domeniche di Quaresima e ad alcune grandi vigilie. Soprattutto va segnalato che lo sviluppo cerimoniale della celebrazione non cessò di imitare il cerimoniale dei Palazzi Imperiali. Questi sviluppi toccarono soprattutto i riti di preparazione (Pròtesi) e d’ingresso come pure la processione d’offertorio, detta «Grande Ingresso», che risultò come il momento di maggiore densità affettiva della celebrazione.

Teologicamente l’accento fu posto sull’invocazione (Epiclesi) dello Spirito Santo manifestante, attraverso la trasformazione del pane e del vino, la presenza del Corpo e Sangue di Cristo. Il carattere misterico della celebrazione si trovò accentuato con lo sviluppo dell’iconostasi che separa il santuario dalla navata. La crisi iconoclasta, poi gli sviluppi della spiritualità monastica esicasta favorirono questa evoluzione: il carattere simbolico delle realtà sensibili come riflesso, immagine, (icona) d’un ordine sovrasensibile che la liturgia manifesta in “mistero” spinse a presentare  la celebrazione eucaristica come la «venuta del cielo sulla terra» ed un’anticipazione della parusia. Preparata ed abbozzata nella tradizione antiochena con S. Giovanni Crisostomo, questa concezione misterica della liturgia doveva trovare il suo pieno splendore nel rito bizantino come è stato fissato all’epoca dei Paleologi con la Regola (Diataxis) del patriarca Filoteo Kokkinos (1350-1354), formato in un monastero dell’Athos e più ancora nella Russia moscovita.

Bibliografia: A. G. MARTIMORT, La Chiesa in preghiera. Introduzione alla Liturgia, (Edd.) A. BIAZZI, Queriniana.

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