Eppure, ci toccherà proprio morire!

Che il cristiano sia risuscitato suscita una facile obiezione: i cristiani non vanno meno nella tomba degli altri! Del resto, per continuare a imbrogliare le carte, al momento di aspergere la bara con l’acqua battesimale, la liturgia dei funerali recita questa nuova negazione della vera speranza cristiana: «Noi crediamo e speriamo che risusciteremo tutti»; questo futuro e questa universalità riduce la fede del battesimo al credere nella risurrezione generale alla fine dei tempi, quella che in realtà è riservata ai pagani. Certo, crediamo anche in questa resurrezione generale e al giudizio ultimo, ma la dichiarazione di Gesù, già citata, si riferisce a ben altro: Colui che ascolta la mia parola – ed è quello che fa il cristiano – non viene giudicato, ma è già passato dalla morte alla vita. (Gv 5,24).

Ma non schiviamo la domanda: come comprendere di essere già passati dalla morte alla vita, ma di dovere tuttavia scendere nella tomba? Il Nuovo Testamento ama le immagini tratte dal mondo vegetale: il piccolo seme che diviene un grande albero, la vite che porta frutto nei suoi tralci, il seme che cade nella terra e produce cento per uno…Ѐ così che bisogna considerare la risurrezione: non un cambiamento istantaneo, ma un processo continuo, cominciato al battesimo e che si concluderà nella Parusia, la quale, ricordiamo, precederà la risurrezione generale e il giudizio ultimo. Non si dice per semplificare che il seme caduto nella terra muore: in realtà si trasforma sotto la spinta di una nuova vita, che porta segretamente le spighe del raccolto futuro. E lungo il corso di questa spinta, tutta la sostanza del primo seme è assunta in quella delle spighe. Quindi, all’inizio della nostra vita cristiana, fu un primo atto di fede a liberare in noi la grazia di Cristo e, man mano che questa fede si sviluppa, questa la grazia ci trasforma in lui; l’ultima fase di questa trasformazione è la risurrezione della nostra carne.

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Novembre, 2024