Esercizi Spirituali annuali

Il Padre nostro

Interrogato da un giovane sulla prassi per ereditare la vita eterna, Gesù distingue tra l’imperativo dell’osservanza dei Comandamenti per «entrare nella vita» (Mt 19,17) e la libera volontà di seguirLo nella pratica dei Consigli Evangelici, per godere la beatitudine promessa in questa vita, «affinché siano consolati i loro cuori e, uniti mediante l’amore, siano dotati di tutta la ricchezza della piena intelligenza per conoscere a fondo il mistero di Dio, cioè Cristo». (Col 2,2), nel quale consiste il perfetto compimento della vita cristiana: «Se vuoi essere perfetto, … seguimi». (Mt 19,21).

I commenti, tratti dalla S. Tradizione, offrono una duplice chiave di lettura che consente di riconoscere nella preghiera del Padre nostro sia la domanda di salvezza, nella partecipazione alla filiazione divina del Verbo incarnato, sia l’esperienza della sequela radicale del Signore, che si traduce nello sviluppo ordinato della vita spirituale, che va dall’inizio, al progresso, alla perfezione.

L’invocazione Padre nostro costituisce l’inizio e il fondamento della vita spirituale, in quanto la filiazione divina esige un serio impegno ascetico, tendente alla conformazione a Cristo, del quale condividiamo la dignità di figli.

«… poiché chiamiamo Dio nostro Padre, dobbiamo agire come figli di Dio,… I nostri atti rispondano alla grazia che ci anima, perché, votati a una vita tutta celeste, i nostri pensieri e le nostre azioni si elevino verso il cielo». (S. G. Crisostomo).

La consapevolezza dell’amore materno di Dio, segna il passaggio dal timore all’abbandono fiducioso, all’amore dell’anima che comincia a gustare la dolcezza e il riposo dell’abbandono in Dio

«Egli è Padre per la dedizione, madre per la tenerezza … nulla ispira tanto la fiducia e l’abbandono». (Don Vital Lehodey).

Il progresso della vita cristiana, a diversi livelli di unione, culmina nella felicità dell’intimità con Dio, che ha creato l’anima per farne il Suo cielo e abitare in quel centro che, nella metafora del Castello interiore, corrisponde alla Settima stanza, luogo della partecipazione alla vita trinitaria. Ma come è possibile entrare in questa celeste intimità? Santa Teresa semplificando magistralmente la dinamica della vita spirituale, tratta l’orientamento interiore dell’anima nell’orazione di raccoglimento.

«Avrete inteso dire che Dio è dappertutto e nulla è più vero di ciò. Ebbene è evidente che là dove si trova il Re, si dice, che si trovi la corte; di conseguenza, là dove è Dio, è anche il cielo […] ha solo bisogno di mettersi nella solitudine, guardare dentro di sé e non stupirsi di trovarvi un ospite così buono; in tutta umiltà, gli parli come a un padre, gli rivolga le sue domande, si consoli vicino a lui come vicino a un padre…». (S Teresa D’avila. Cammino di perfezione).

La volontà di santificare il nome di Dio scaturisce dall’esperienza più intima della Sua presenza e dal crescente desiderio di conoscenza dell’essenza di Dio – disponibile al cuore più che all’intelletto – che, come profumo che si spande, pervade e inebria le profondità dell’anima (cfr.: Ct 1,3) che ha già gustato quanto è buono il Signore (Sl 33,9)

«Il nome è la forma dell’essere; gli è inerente e veramente essenziale. … Oh mio Dio! Tu hai un nome. […] Questo nome santo, vivo, sostanziale, eterno, questo nome proprio e singolare di cui la tua parola e la nostra fede ci attestano l’esistenza, lo conosceremo completamente solo in paradiso, dove intenderlo  sarà vederlo: solo allora, dunque, potremo dirlo almeno così come lo può dire una creatura. […]». (Charles Gay, Elevazioni sulla vita e la dottrina di N. S. Gesù Cristo).

Il desiderio dell’avvento del Regno di Dio è desiderio di Cristo da parte di colei che, sapendo di essere sposa, invoca, di Colui che è presente, l’anticipazione della visione del volto, che contemplerà senza veli nella visione beatifica.

«Si può anche, fratelli diletti, intendere con il regno di Dio, Cristo stesso. Noi desideriamo ogni giorno vederlo apparire, sospiriamo ininterrottamente in attesa della sua venuta. Poiché egli è la nostra resurrezione, poiché risusciteremo in lui». (San Cipriano di Cartagine, Sull’orazione domenicale, 3).

Amare non è tanto voler possedere l’altro, quanto condividere e coltivare i suoi stessi desideri; l’adesione alla volontà di Dio nell’esodo da se stessi e nella rinuncia ai propri appetiti disordinati a causa del peccato originale, pone l’anima nello stato di unione, corrispondente alla promessa del Salvatore: « Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». (Gv 14, 23).

«Quando egli vede questa buona volontà dell’anima, la sua retta tensione verso il Signore, allora le accorda la grazia venendo ad abitare in lei; allora egli accorda all’anima giunta alla piena stagione dei fichi, il favore di portare i frutti dello Spirito». (Pseudo-Macario).

«Chi si è perfettamente lasciato, chi è talmente uscito da se stesso, è talmente ricevuto in Dio che chi volesse toccarlo dovrebbe prima di tutto toccare Dio, poiché lui stesso è in Dio e Dio è in lui. Tutto ciò che gli accade, lo riceve dalla mano di Dio e si sforza di rendergliene lode e azioni di grazie. E così, ricevendo tutto dal Signore, egli gusta in tutto una stupefacente soavità». (Giovanni Taulero, Istituzioni, cap. 18).

Nell’unione di volontà, secondo la mistica renana, avviene come una nuova incarnazione; il fiat della creatura, come quello di Maria, permette al Verbo di prendere carne in lei.

«… quando la Vergine ebbe abbandonato la sua volontà per offrirla a Dio, nello stesso istante lei divenne la vera madre del Verbo eterno di Dio. Il fiat, facendo concepire in lei il Figlio di Dio le meritò di averlo per suo figlio, di lei, in maniera da potersi dire sua madre vera». (Giovanni Taulero, Istituzioni, cap. 18).

«Chi si è perfettamente lasciato, chi è talmente uscito da se stesso, è talmente ricevuto in Dio che chi volesse toccarlo dovrebbe prima di tutto toccare Dio, poiché lui stesso è in Dio e Dio è in lui. Tutto ciò che gli accade, lo riceve dalla mano di Dio e si sforza di rendergliene lode e azioni di grazie. E così, ricevendo tutto dal Signore, egli gusta in tutto una stupefacente soavità».(Giovanni Taulero, Istituzioni, cap. 18).

La mistica presenza di Cristo nell’anima suscita il desiderio di mangiare il pane quotidiano per essere assimilata al Suo corpo, offrendosi alla potenza trasformante dell’Eucarestia. L’ordine intrinseco delle petizioni manifesta la dialettica tra orazione e comunione; si può ricevere l’Eucarestia senza entrare in intima comunione con Cristo se l’incontro non è desiderato, atteso e  preparato nell’intimità dell’orazione.

«il nostro pane è Gesù Cristo, […] domandando il nostro pane quotidiano, domandiamo di vivere perpetuamente in Gesù Cristo, e di identificarci con il suo corpo». (Tertulliano, Sulla preghiera, VI).

Nell’unione-conformazione a Cristo crocifisso, l’anima, ormai elevata allo stato di perfezione, senza perdere la consapevolezza della propria fragilità, giustificata dalle materne viscere di misericordia del Padre, acquista gli stessi sentimenti di Dio nei confronti dei fratelli. Finalmente libera da ogni ripiegamento interiore, lasciandosi trasportare dalla forza propulsiva ed espansiva dell’Amore, sussistente nell’autodonazione di sé, gioisce nel riversarlo, senza distinzione, sui giusti per empatia e sui peccatori, intercedendo per la loro conversione

«Così, amando i propri nemici imitiamo Dio per quanto a noi è consentito dalla debolezza umana. Infatti, così come egli fa sorgere il sole tanto su chi commette il male quanto sui giusti, e così come dispensa secondo le stagioni la pioggia e la rugiada sui campi dell’uomo buono come di quello cattivo, anche tu, amando non soltanto chi ti ama ma anche i tuoi stessi nemici, ti mostri un degno emulatore del Signore». (San Giovanni Crisostomo, Omelia 4, Sulla Genesi, 7).

Associata alla Pasqua di Cristo, nel momento della tentazione confida nel sostegno divino e, senza opporre alcuna ribellione agli assalti del maligno, prega che la Sua efficacia salvifica, trionfi in ogni evento della storia e nella vita di ogni uomo

«come per l’atleta, vuole che la prova sia tale da poter esser sostenuta dall’umanità e che ognuno sia liberato dal male, cioè dal nemico, dal peccato». (Sant’Ambrogio di Milano, Sui Sacramenti, 6).

Nello stato di perfezione, culminante nell’unione trasformante, l’anima sposa, nell’accettazione che si compia in lei totalmente la filiazione divina, può rivolgersi al Padre con la stessa confidenza di Cristo Gesù.

«[Giunta alla perfezione] la sposa sente che l’amore ha trionfato su tutte le sue resistenze intime, che ha corretto i suoi difetti ed è divenuto il suo padrone. Esso ha preso possesso di lei, completamente e senza che lei lo contesti più, cosicché lei possiede il suo cuore in sicurezza e può goderne e riposare operando in libertà: qui, ogni cosa le sembra leggera, facile da fare o da lasciare, da subire o da sopportare dal momento in cui entra in gioco l’amore e le è dolce adoperarsi per l’amore». (Beata Beatrice di Nazareth, Sui sette modi di amare, 6° modo).

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Luglio, 2024