Umiltà

Autore Rupnik Marco Ivan

L’umiltà è un atteggiamento che fa sì che la persona distolga lo sguardo da sé e lo orienti all’Altro. Come se volesse dire: “Non trovo nel mio io un punto di riferimento sicuro. Questo punto sei tu, Signore della vita”. L’umiltà è dunque un atteggiamento di prostrazione, di attenzione all’altro, al Signore. (M. I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli. Lectio divina su Giuseppe d’Egitto, Lipa 2002, p.73).

 

Autore Francesco di Sales s.

UMILTA’ E CASTITA’ – Ma che cos’è l’umiltà? E’ la conoscenza della nostra miseria e povertà? Si, dice il nostro S. Bernardo, ma quando si tratta dell’umiltà morale e umana. E l’umiltà cristiana che cos’è dunque? E’ l’amore a questa povertà e abiezione, scaturito dalla contemplazione della povertà di nostro Signore. Riconoscete che siete una vedova piccola e poverella? Amate questa povera condizione; siate fiera di non essere nulla e sentitevi perfettamente a vostro agio in quello stato , poiché la vostra miseria è l’oggetto sul quale la bontà di Dio esercita la sua misericordia.

Questa umiltà conserva la castità. Conservatevi dunque gioiosamente umile davanti a Dio, ma conservatevi anche ugualmente gioiosa e umile davanti al mondo. Siate contenta che il mondo non tenga conto di voi; se vi stima , beffatevi di lui e ridete del suo giudizio e della vostra miseria che ne è l’oggetto; se non vi stima, siatene contenta e rallegratevi che, almeno in questo il mondo segua la verità. Quanto all’esteriore, non ostentate umiltà, ma allo stesso tempo , non cercate di nasconderla abbracciatela , ma sempre gioiosamente. (FRANCESCO DI SALES, Lettere di amicizia spirituale, San Paolo 2003, pp. 51-52).

 

Autore Giovanni Crisostomo s.

Non c’è umiltà nel considerarsi peccatore, se lo siamo effettivamente. Ma l’umiltà esiste quando uno è consapevole di aver fatto quantità di grandi cose, eppure non ne concepisce alcun’alta opinione di se; quando, essendo simile a Paolo fino a poter dire: «Non sono consapevole di colpa alcuna», aggiunge subito: «non per questo sono giustificato» (1 Cor 4, 4) o anche: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io» (1 Tm 1, 15). In questo consiste l’umiltà: a dispetto della grandezza dei nostri atti, abbassarci in spirito.

Dio, però, a motivo del suo amore indicibile per gli uomini, accoglie e riceve non soltanto coloro che si umiliano in questo modo, ma anche coloro che ammettono francamente le loro colpe, e si mostra favorevole e benevolo verso coloro che sono in tali disposizioni. E affinché tu impari quanto è buono non avere un’alta opinione di te stesso, immaginati due carri. A uno, attacca la virtù e la superbia, all’altro, il peccato e l’umiltà. Vedrai il tiro del peccato distanziare quello della virtù, non certo grazie alla propria potenza, ma grazie alla forza dell’umiltà che lo accompagna. E vedrai l’altro sorpassato, non a causa della debolezza della virtù, ma a causa del peso e dell’enormità della superbia. Infatti, come l’umiltà, grazie alla sua immensa forza di elevazione, trionfa della pesantezza del peccato e, per prima, sale al cielo, così la superbia, a causa del suo gran peso e della sua enormità, riesce a spuntarla sull’agilità della virtù e trascinarla facilmente verso il basso. (GIOVANNI CRISOSTOMO s., Sull’incomprensibilità di Dio, 5, 6-7 : PG 48, 745-746).

 

Autore Pio da Pietralcina s.

È capitale che tu insista su quello che è la base della santità e il fondamento della bontà, cioè la virtù per la quale Gesù si è presentato esplicitamente come modello: l’umiltà (Mt 11,29), l’umiltà interiore, più dell’umiltà esteriore. Riconosci quello che sei realmente: un nulla, miserabilissimo, debole, impastato di difetti, capace di cambiare il bene in male, di abbandonare il bene per il male, di attribuirti il bene e di giustificarti nel male, e per amore del male, di disprezzare Colui che è il bene supremo.

Non andare mai a letto senza aver prima esaminato in coscienza come hai passato la tua giornata. Rivolgi tutti i tuoi pensieri verso il Signore, e consacragli la tua persona e tutti i cristiani. Poi offri alla sua gloria il riposo che stai per prendere, senza mai dimenticare il tuo angelo custode, che sta in permanenza accanto a te. (PIO DA PIETRELCINA s., Ep. 3, 713; 2, 277).

 

Autore Merton Thomas

UMILTA’ INFERNALE – C’è nell’inferno un certo genere di umiltà che è una delle peggiori tra le cose infernali, infinitamente lontana dall’umiltà dei santi, che è pace. La falsa umiltà dell’inferno è incessante e bruciante vergogna per l’indelebile marchio dei nostri peccati. I dannati sentono le loro colpe come una veste di intollerabile abiezione che non possono evitare, una camicia di Nesso che li brucia per sempre e dalla quale non si possono liberare.

Neppure sulla terra è possibile sfuggire all’angoscia di questa consapevolezza sino a che continua a vivere in noi l’egoismo; perché è l’orgoglio che sente il bruciore di quella vergogna. Soltanto quando nell’anima ogni orgoglio e ogni egoismo si sono consumati nell’amore di Dio siamo liberi da ciò che è la causa di quei tormenti. Solo quando abbiamo perduto ogni egoistico amore per noi stessi i nostri peccati cessano di procurarci sofferenza, angoscia, vergogna. (MERTON T., La montagna dalle sette balze, Garzanti 2004, p. 352).

Che cosa terribile l’economia dello Spirito Santo! Quando trova un’anima in cui poter lavorare, lo Spirito di Dio se ne serve per ogni sorta di scopi: apre innanzi ai suoi occhi centinaia di nuove direzioni, moltiplicandone le opere e le occasioni di apostolato quasi al di là del credibile e certo molto oltre la forza ordinaria dell’essere umano. (MERTON T, La montagna dalle sette balze, Garzanti 2004, p. 426).

 

Autore Adnes P.

Quando si cerca di raccogliere e organizzare i dati dell’insegnamento dei maestri della spiritualità sull’umiltà, si può dire che questa è essenzialmente il riconoscimento teorico e pratico del nostro stato di creature.

Questo riconoscimento, questa presa di posizione fondamentale, questa attitudine primordiale che pone l’uomo in rapporto a Dio e regola la relazione umana più caratteristica, implica, nell’uomo, diversi aspetti.

1. La coscienza non solo dei propri limiti, ma della propria insignificante piccolezza e della propria imperfezione, ciò che gli autori esprimono spesso attraverso la parola niente, che può sembrare esagerata, ma che bisogna ben comprendere. «Il tutto di Dio… il niente della creatura».Vi è, in effetti, tra l’uomo e il Dio della rivelazione, colui che è pienezza d’essere e di perfezione, una distanza infinita il cui apprendimento, anche molto imperfetto, è sufficiente a relativizzare radicalmente l’uomo dinanzi ai propri occhi nel giudizio di valore che egli ha di sé.

2. La coscienza della propria condizione peccatrice. Posto in presenza della santità divina, l’uomo è necessariamente afferrato dal sentimento della sua fondamentale impurità. Vi è in effetti un infinito divario tra l’ideale della vita morale quale esiste assolutamente in Dio e le sue realizzazioni concrete nell’uomo, sempre deficienti. Non si tratta necessariamente di peccati catalogabili. Più i santi si avvicinano a Dio e più aumenta in loro il senso della loro indegnità, della loro viltà, della loro abiezione. Queste espressioni non devono neanche sorprendere, né urtare. Il giudizio al quale conduce una tale esperienza si formula spesso presso gli autori spirituali in termini di disprezzo di sé, – disprezzo che si vorrebbe che gli altri condividessero tanto esso sembra giustificato a colui al quale viene accordato (à celui qui en est gratifié) – , e ugualmente di orrore. Questo giudizio è di altro ordine rispetto al precedente, ma lo rinforza e conduce l’uomo ancora più avanti e più in basso nella giusta valutazione che egli ha di sé.

3. Il sentimento della sua dipendenza totale in relazione a Dio, la cui azione creatrice si esercita, non cessando di sostenere l’uomo, in tutti i campi, quello naturale dell’essere e dell’agire, quello soprannaturale della giustificazione e della santità. Si ha la convinzione che si è tutto ricevuto da Dio; che non si può attribuirsi nulla in proprio se non il proprio niente e il proprio peccato; che si deve attender tutto da Dio, come un povero, un mendicante. «Io non sono nulla, non ho nulla, non posso nulla», si compiacciono gli autori di far dire agli umili, ma aggiungono immediatamente o sottintendono: «da me stesso». Infatti l’umiltà non rende l’uomo cieco dinanzi alle qualità, le forze, le potenze che sono in lui. Egli sa riconoscerle, apprezzarle nel loro valore e servirsene. Da questo punto di vista almeno, l’umiltà non si oppone alla magnanimità. Ma l’umile, non considerando ogni cosa che sotto l’angolo del suo rapporto con Dio, non vi vede che dei doni di Dio, da fare fruttificare e da rapportare in fine (finalement) a Dio, fonte di ogni bene e di ogni positività. Egli stesso non è, nella sua valutazione, che un servo inutile.

Cosciente del suo niente relativo, della sua condizione di peccatore e del suo stato di radicale dipendenza, l’uomo arriva dunque al sentimento di essersi stabilito nella verità, che sino ad allora i miraggi dell’orgoglio gli nascondevano. «L’umiltà è la verità», ripetono in un modo o in un altro gli autori.

4. Una volontà di sottomissione, di obbedienza a Dio che esclude la possibilità deliberata di ogni peccato, sia mortale che veniale, giunge sino all’indifferenza verso tutto ciò che non è Dio o non ha rapporto a lui. Se Dio è il valore assoluto, gli è necessariamente dovuta l’intera e libera subordinazione dell’uomo. È in questa subordinazione, cui liberamente si è acconsentito, che molti autori fanno principalmente risiedere l’umiltà; è a questa in tutti i casi che l’umiltà deve condurre. È questa la traduzione pratica della coscienza che Dio è tutto e che la creatura non è da se stessa che niente, peccato, dipendenza.

Per pervenire all’umiltà è necessario conoscere se stessi. Ma è evidente che questa conoscenza non è di natura psicologica, introspettiva o riflessiva. È innanzi tutto alla luce della fede, che viene da Dio, e allo splendore della rivelazione cristiana che l’uomo deve considerarsi. L’esperienza in certi stati mistici raggiunge una intensa acuità, in cui l’anima ha come una percezione superiore di Dio e correlativamente di se stessa.

Tuttavia, la conoscenza di sé non è la sola via che conduce alla virtù dell’umiltà. Vi è anche quella della imitazione. La contemplazione del Verbo di Dio annichilito nella sua incarnazione, dei misteri della vita e della morte di Cristo, è sempre stata la fonte in cui la pietà cristiana è andata ad attingere il suo senso ultimo dell’umiltà. Ma l’imitazione di cui si tratta deve nascere da un desiderio di conformità e di partecipazione. Il motivo di essa è l’amore. Ragion per cui questa forma di umiltà, nella cristianità, passa per la più alta, la più perfetta. Essa sbocca naturalmente nel servizio disinteressato degl’altri, sull’esempio di Cristo, rivelazione dell’amore divino, che è venuto per servire. Quando gli autori fanno dell’umiltà la volontà di sottomettersi non solo a Dio e ai propri superiori, ma ai propri uguali e ai propri inferiori, essi la intendono manifestamente, se non unicamente, in una prospettiva di servizio e di carità.

L’umiltà ha per effetto di dissolvere l’autocompiacimento menzognero, l’autosufficienza e l’egocentrismo, in altre parole, l’orgoglio dello spirito. Attraverso l’umiltà, l’anima si trova decentrata da se stessa e ricentrata su Dio, in Dio, rivolta verso lui in un atteggiamento di disponibilità, d’apertura e di recettività. Ragion per cui gli autori spirituali ripetono a sazietà che l’umiltà è il fondamento di tutte le virtù, dono di Dio per eccellenza, la base di ogni edificio spirituale, il quale è l’opera della grazia divina, e i mistici la considerano come la condizione indispensabile di tutte le grazie infuse di contemplazione.

L’umiltà d’altronde può essere vissuta a livelli diversi di profondità e ispirare direttamente una grande varietà di atti. È ciò che schematizzano i gradi di umiltà, cari a molti autori. La loro gamma va dai livelli e dagl’atti più elementari, più necessari alla salvezza, fino ai più eroici. Ma l’abbassamento progressivo di sé, la discesa che questi gradi simbolizzano, non è in realtà che l’altra faccia di una salita verso la pienezza della carità e la fioritura delle virtù.

Infine, i Padri e gli autori più antichi non separano mai l’umiltà dalla grandezza. È l’umiltà che fa la grandezza dell’uomo. La lucidità soprannaturale per mezzo della quale l’uomo riconosce la sua piccolezza e si sottomette al valore assoluto è già senza dubbio un segno di grandezza. Ma la grandezza di cui si tratta è innanzitutto quella che Dio comunica all’uomo: partecipazione alla vita divina, che non domanda che di spandersi al di fuori e di fare dei beati quando non incontra ostacoli sulla strada; partecipazione alla gloria del Cristo Risorto, sovranamente (souverainement) esaltato poiché egli sino all’estremo (souverainement) si è umiliato. La convinzione, presso l’umile, che tutto è dono e che egli può tutto in Colui che lo fortifica, è inoltre un motivo di coraggio e di generosità nell’azione. Niente è più contrario all’umiltà che la pusillanimità. L’umiltà che abbassa o che sembra abbassare, si trova in realtà al principio di grandi cose. (ADNES P., Umiltà in VILLER M., DERVILLE A., PAUL LAMARCHE P, SOLIGNAC A, Dictionnaire de Spiritualité Ascétique et Mystique, VII, Paris 1969, pp.1184-1186. Traduzione di p. Alfonso Liotta).

 

Autore Moliniè M. D.

È molto difficile parlare dell’umiltà perché è una virtù inafferrabile: non la si comprende, e, in fondo in fondo, non la si vuole comprendere. L’umiltà non è l’essere scontenti di sé, non è neanche la confessione della nostra miseria o del nostro peccato, e non è nemmeno, in un certo senso, la confessione della nostra piccolezza. L’umiltà suppone che si guardi Dio prima di guardare se stessi, e che si misuri l’abisso che separa il finito dall’infinito: più lo si vede, più si accetta di vederlo, più si è umili. […].

(La vera umiltà) è tutt’altra cosa rispetto al complesso d’inferiorità; anzi è esattamente il contrario. Il complesso d’inferiorità, e quello di superiorità, sono la stessa cosa: sono il guardare sé stessi soffermandosi su di sé. Questo guardare se stessi non è la semplice e inevitabile coscienza di sé che anche la Madonna aveva, ma il fermarsi su di sé senza staccarsene facilmente. Uno sguardo umile è affascinato da qualcos’altro che se stesso, quindi è liberato da ogni complicazione. Gli uomini di genio sono spesso orgogliosi, ma quando sono afferrati dal loro oggetto, diventano umili per forza, perché dimenticano se stessi; soltanto dopo tornano ad essere orgogliosi, godendo di essere stati inondati da una tale luce. “Non so chi compone la mia musica -diceva Mozart – ma sicuramente, non io”.

Quando si è compresa l’immensità di Dio, a poco a poco non ci si può occupare più di altro, e così si viene progressivamente liberati. È l’essere affascinati da Dio che ci rende umili. (MOLINIÉ M. D., Il coraggio di avere paura, Ed. Parva, 2006, p. 94-95).

 

Autore Merton Thomas

Quando l’umiltà libera l’uomo dall’attaccamento alle proprie opere e alla propria reputazione, questi scopre che la vera gioia è possibile solo quando ci dimentichiamo completamente di noi stessi. E solo quando non prestiamo troppa attenzione alle nostre opere, alla nostra reputazione e alla nostra eccellenza noi siamo completamente liberi di servire Dio in modo perfetto, unicamente per amor Suo. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 51).

 

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