Spiritualità

Autore Balthasar H. U.

Se la spiritualità è il lato soggettivo della dogmatica, cioè la parola di Dio in quanto è realtà accolta e sviluppantesi nella sposa, allora la spiritualità mostrerà necessariamente una forma analoga: quella di un’unità incondizionata, in quanto il soggetto è la chiesa stessa e qualsiasi altro soggetto diviene tale in senso cristiano solo partecipando della soggettività ecclesiale, e quella di una susseguente molteplicità, in quanto la chiesa come realtà è sempre un universale in rebus, cioè in personis. L’unità di questa analogia si è dischiusa alla spiritualità dei Padri come a quella del medioevo nel mistero di Maria, in quanto la soggettività e la qualità sponsale di Maria subentrarono come terzo mediatore tra la Virgo Ecclesia e la virgo anima.

Teologia spirituale è una dottrina oggettivo – ecclesiale dell’assimilazione della parola rivelata alla vita della fede, della carità, della speranza; la dimensione misteriale della dogmatica ecclesiastica oggettiva in assoluto. La teologia dei Padri e ancora quella del medioevo, era doctrina sacra non solo quanto all’oggetto, ma anche alla forma, giacché in essa la dimensione spirituale del mysterium oggettivo e dell’iniziazione per opera dello Spirito Santo rimane presente non solo nel complesso, ma nei singoli passi per cui avanza il pensiero. La funesta difficoltà di reintegrare la teologia dogmatica e quella spirituale si ha a motivo della perdita di quel medio spirituale, in cui l’antica teologia consapevolmente si sviluppava. Non si può riconquistare la presenza viva dell’elemento spirituale per altra via se non quella d’un profondo sconvolgimento interiore, operato dall’incontro elementare tra il credente e la rivelazione, in virtù del quale egli in certo modo sa una volta per sempre come si possa e non si possa pensare e parlare in teologia. La spiritualità del Grand Siècle nonostante tutte le conversioni verso l’elemento empirico – psicologico, mirava nell’essenziale alla piena chiarezza e integralità dell’atto teologico, in cui la sposa risponde all’invocazione e alla dedizione amorosa dello Sposo. Ciò che dappertutto si persegue, ciò a cui si tende in quest’epoca, è la spoliazione che fa emergere la pura e nuda struttura del sì di risposta sponsale, e quindi d’un momento decisivo di teologia dogmatica e mariana. L’abbracciare in un solo sguardo tutto ciò in modo riflesso rimane compito di una futura storia totale della teologia.

A questa unitaria teologia spirituale ecclesiastico-dogmatica sta di fronte la molteplicità delle “spiritualità”, e solo risalta quella tonalità specifica che agita, entusiasma o inquieta particolarmente l’epoca d’oggi. Questa molteplicità autentica tantomeno poteva essere trascurata dalla tradizione, in quanto essa si radica già nella maniera più vigorosa nell’ambito della stessa rivelazione. Nell’AT si avverte che non si può trattare solo di diversità, determinate dal punto di vista nel modo di concepire l’identico contenuto, ma si trattava anche, e in modo del pari essenziale, di una nuova modalità della rivelazione di Dio, la quale si adattava alla situazione mutata, ma al tempo medesimo contribuiva decisamente a creare questa stessa situazione. Gesù in ogni incontro e in ogni missione qualitativamente distinta, instaura in modo creativo una realtà particolare, delineata inconfondibilmente: irripetibili unicità, che è chiaramente impossibile addizionare, realtà d’incontri singolari, in cui nondimeno si manifesta integro il Gesù indivisibile. Di ciò che il Verbo ci vuol dire, non poco sta nella comparazione, e anzi non mira puramente a un significato universale che tende verso l’infinità delle proiezioni prospettiche, bensì a precise visioni contenutistiche. Perciò la tradizione non ha mai trovato inciampo nella molteplicità dei punti di vista, purché soltanto siano mantenuti entro l’unità ecclesiale. Le particolarità, in ultima istanza, sono determinate non dalla struttura prospettica universalmente creaturale della verità, non dal condizionamento in una situazione, che il soggetto sperimenta in funzione della storia dell’epoca, della sua persona, non dall’individualizzarsi che appare di necessità col passaggio della dottrina oggettiva nell’assimilazione e nell’esperienza soggettiva: tutti questi punti di vista sono teologicamente esatti, ma subordinati alla distribuzione libera dei doni e dei carismi che viene compiuta dal Capo della Chiesa; il centro del particolarizzarsi di una spiritualità, non è la persona di chi ne è portatore, ma la missione dall’alto, che pertanto non si può calcolare e delimitare con mezzi psicologico-empirici.

La spiritualità del centro mariano è la relativizzazione e la liquidazione di tutte le particolarità fuse nella spiritualità una della Chiesa Sposa. Ciò che v’è di particolare nella spiritualità di Maria è, per parte sua, la rinunzia per principio ad una spiritualità particolare, che voglia essere qualcosa d’altro dall’adombramento da parte dell’Altissimo e dall’inabitazione in lei del Verbo divino. Solo in tal modo il sì di Maria può acquisire quell’apertura illimitata per grazia, che lo fa divenire il sì dei singoli credenti. Poiché l’universale, cioè la risposta sponsale, non è mai generale nel senso della genericità, ma come tale è la realtà più determinata e più particolare, non si può dire pertanto che i carismi e le mansioni meno individualmente caratterizzati si trovino in svantaggio rispetto agli altri, in quanto anzi i più caratterizzati lo sono soltanto per trascendere con più schietto slancio verso questa ben determinata universalità. L’anonimia di cui partecipano i compiti meno caratterizzati, è quella della Sposa medesima, la volontà in Maria di non avere una caratteristica propria di fronte al Verbo, che è unico a imprimerle il suo carattere. (H. U. von Balthasar, Verbum caro. Saggi teologici I, Morcelliana, Brescia 1975, PP. 230-247).

 

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