Eucarestia

Autore Moliniè M. D.

OFFERTA DI LODE – Tale è veramente l’Eucarestia: “Rallegratevi sempre, rendendo grazie in tutte le cose”. Rendiamo grazie di essere tanto preziosi, noi che siamo inutili. Allora spendiamo le nostre forze in offerta, vale a dire per niente, per far piacere a Dio, perché esse si logorino e si consumino alla fiamma di Dio.

Ciò deve liberarci da ogni inquietudine: “Non preoccupatevi di nulla”, dice san Paolo (1 Cor 7, 32). Quando una creatura marcisce di inutilità, compie perfettamente la sua funzione di creatura. L’interesse della nostra vita è quello di non averne: siamo un canto alla gloria di Dio, solo questo.

Se potessimo capire che il problema non è di funzionare bene, ma di offrire le nostre miserie, le nostre sofferenze, i nostri difetti, anche i nostri peccati, tutti quei giorni in cui abbiamo l’impressione di fallire, come sarebbe tutto più semplice! La materia di un sacrificio non ha bisogno di essere nobile, basta che sia offerta. Allora invece di offrire una giornata perfetta (cosa vuol dire poi?), si offe una giornata misera. Che importa, se la si offre? (MOLINIÉ M. D., Il coraggio di avere paura, Ed. Parva, 2006, p. 58-59).

 

Autore Autore ignoto II sec.

Una volta saziati dell’Eucaristia, ringraziate così: Ti rendiamo grazie, o Padre Santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che ci rivelasti per mezzo di Gesù, tuo Servo. A te la gloria per i secoli. Amen! […]. Sopra ogni cosa, ti rendiamo grazie, perché sei onnipotente: A te la gloria per i secoli. Amen! Ricordati, o Signore, della tua Chiesa, preservala da ogni male. rendila perfetta nel tuo amore e santificata, dai quattro venti, riuniscila nel tuo regno che per essa hai preparato. Poiché tua è la potenza e la gloria per i secoli. Amen. Venga la tua grazia e passi questo mondo. Amen! Chi è santo si avvicini; chi non lo è si converta. Maranà thà. Amen […]

Sì, vegliate sulla vostra vita; non lasciate che si spengano le vostre lampade, neppure che si sciolgano le cinture dai vostri fianchi. State pronti, perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore verrà. Radunatevi frequentemente per cercare insieme ciò che conviene alle vostre anime. Perché tutto il tempo della vostra fede non vi servirà a niente, se nell’ultimo momento, non sarete divenuti perfetti. (La Didaché, 10, 16)

 

Autore Giovanni Paolo II S.

ANTICIPAZIONE DEL CIELO SULLA TERRA – Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse “con” loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: mediante il sacramento dell’Eucaristia trovò il modo di rimanere “in” loro. Ricevere l’Eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4). Questo rapporto di intima e reciproca permanenza ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l’anelito più grande dell’uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza? Egli ha messo nel cuore dell’uomo la fame della sua Parola (cfr Am 8,11), una fame che si appagherà solo nell’unione piena con Lui. La comunione eucaristica ci è data per saziarci di Dio su questa terra, in attesa dell’appagamento pieno del cielo. (GIOVANNI PAOLO II b., Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine, Libreria Editrice Vaticana).

 

Autore Agostino d’Ippona s.

Non ha questa vita (eterna), chi non mangia questo pane e non beve questo sangue (Cfr.: Gv 6,53-54). Senza di questo pane possono, sì, gli uomini avere la vita temporale, ma la vita eterna assolutamente non possono averla.[….] Questo non succede con quel pane e con quella bevanda, che sono il Corpo e il Sangue del Signore. Chi non ne mangia non ha la vita; chi ne mangia ha la vita, e la vita eterna. Da alcuni viene ricevuto per la vita, da altri per la morte: ma la realtà, che questo sacramento contiene, procura a tutti quelli che vi partecipano la vita, mai la morte. [….].

Quello che gli uomini bramano mediante il cibo e la bevanda, di saziare la fame e la sete, non lo trovano pienamente se non in questo cibo e in questa bevanda, che rendono immortali e incorruttibili coloro che se ne nutrono, facendone la società dei santi, dove sarà la pace e l’unità piena e perfetta. E’ per questo che, come prima di noi hanno capito gli uomini di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo ci offre il suo corpo e il suo sangue, attraverso elementi dove la molteplicità confluisce nell’unità. Il pane, infatti, si fa con molti chicchi di frumento macinati insieme, e il vino con molti acini d’uva spremuti insieme.

Mangiare questo cibo e bere questa bevanda, vuol dire dimorare in Cristo e avere Cristo sempre in noi. Colui invece che non dimora in Cristo e nel quale Cristo non dimora, né mangia la sua carne né beve il suo sangue, ma mangia e beve a propria condanna un così sublime Sacramento, essendosi accostato con il cuore immondo ai misteri di Cristo, che sono ricevuti degnamente solo da chi è puro.(AGOSTINO D’IPPONA S., Commento al Vangelo di Giovanni, Ed. Città nuova 2005. Omelia 26, pp. 521-523).

 

Autore Benedetto XVI

Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che «chi mangia di questo pane vivrà in eterno». Ma questa «vita eterna» inizia in noi già in questo tempo attraverso il cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: «Colui che mangia di me vivrà per me». Queste parole di Gesù ci fanno capire come il mistero «creduto» e «celebrato» possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana. Comunicando al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e consapevole.

Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell’anima: mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore immagina di sentirsi dire: «Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me». Infatti non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; «ci attira dentro di sé».

La Celebrazione eucaristica appare qui in tutta la sua forza quale fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale, in quanto esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, «il culto spirituale». Le parole di san Paolo ai Romani a questo proposito sono la formulazione più sintetica di come l’Eucaristia trasformi tutta la nostra vita in culto spirituale gradito a Dio: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). (BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis §70)

 

Autore Benedetto XVI

Gesù ci ha spiegato a quale pane Dio, mediante il dono della manna, voleva preparare il popolo della Nuova Alleanza. Alludendo all’Eucaristia ha detto:
“Questo è il Pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia di questo Pane vivrà in eterno” (Gv 6,58). Il
Figlio di Dio, essendosi fatto carne, poteva diventare Pane, ed essere così nutrimento del suo popolo, di noi che siamo in cammino in questo mondo, verso
la terra promessa del Cielo. Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio […].

Il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli è con noi; anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte fino ad immedesimarsi con noi. Nel Vangelo
Egli dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Come non gioire di una tale promessa? Abbiamo sentito però che, a quel primo annuncio, la gente, invece di gioire, cominciò a discutere e a protestare: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52). Per la
verità, quell’atteggiamento s’è ripetuto tante altre volte nel corso della storia. Si direbbe che, in fondo, la gente non voglia avere Dio così vicino,
così alla mano, così partecipe delle sue vicende. La gente lo vuole grande e, in definitiva anche noi spesso lo vogliamo un po’ lontano da noi.
Si sollevano allora questioni che vogliono dimostrare, alla fine, che una simile vicinanza sarebbe impossibile. Ma restano in tutta la loro chiarezza le
parole che Cristo pronunciò in quella circostanza: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue,
non avrete in voi la vita” (Gv 6,53).

In verità abbiamo bisogno di un Dio vicino. Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: “Amici, avrebbe potuto dire, non preoccupatevi! Ho parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti”. Ma no,
Gesù non ha fatto ricorso a simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla defezione di molti
suoi discepoli (cfr Gv 6,66). Anzi, Egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso: “Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio Pietro ha dato una risposta che anche noi, oggi, con
piena consapevolezza facciamo nostra: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Abbiamo bisogno di un Dio vicino, di un Dio che si
dà nelle nostre mani e che ci ama.

Nell’Eucaristia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è una presenza statica. E’ una presenza dinamica, che ci afferra per farci suoi, per
assimilarci a sé. Cristo ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per fare di noi tutti una cosa sola con Lui. In questo modo Egli ci inserisce anche nella
comunità dei fratelli e la comunione con il Signore è sempre anche comunione con le sorelle e con i fratelli. E vediamo la bellezza di questa comunione che  la Santa  Eucaristia ci dona. (BENEDETTO XVI, XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, 29 maggio 2005).

 

Autore Shardon Louis

EUCARISTIA E UNIONE DI TRASFORMAZIONE – Gesù si dà nell’Eucaristia ma egli vuole essere desiderato. Egli invita, ma vuole essere ricercato. Egli provoca, ma vuole che ci si preoccupi di trovarlo e che lo spirito, che lo ha trovato, lo abbracci, lo stringa e lo baci, mentre lui, da parte sua, apre il suo seno e presenta la sua bocca a coloro che vorranno perdersi in quello e incollarsi dolcemente a questa: «Chiunque – egli dice – mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui». Egli parla di una dimora più che corporale che si fa attraverso l’amore, della quale Giuda non è stato partecipe, né nella comunione, né nel bacio che gli ha dato. Il tocco e la dimora spirituale sono il fine della ricezione corporale. Molti avvicinano Gesù tra la folla; a suo giudizio, c’era soltanto colei che gli aveva sfiorato il lembo del suo mantello con la mano, che l’aveva toccato «Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui».
È dunque per l’amore santo che Dio s’insinua nei nostri spiriti, e che vi pone la sua residenza. È per l’amore reciproco che noi prendiamo possesso di lui, e che la nostra dimora è nel suo seno, con una ben compiuta imitazione della mutua dimora, dell’in-esistenza o circumincessione – per parlare in termini di teologia – delle Persone divine, dove l’una è il trono augusto delle altre, e ciascuna dimora o in quella che produce, o in quella che la produce. […].
 L’anima, in questo stato, si sente talmente riscaldata e infiammata dalla fiamma viva dell’amore di Dio, si sente così profondamente ferita dalle sue frecce, così potentemente toccata dalle sue attrazioni, così perfettamente rapita dai suoi tocchi, così ben circondata dalla sua dolcezza, e così fortemente, legata dalla sua stretta che non fa che respirare e sospirare vicino a lui. Ella non è più per se stessa, né in se stessa, no; ella è tutta dove ama. Non saprebbe vivere che per l’amore e nell’amore di colui che, essendo amore per sé, si è fatto tutto amore per lei. Questo fa sì che restando perduta completamente in questo amore, ella non potrebbe più pensare che nessun santo sia perfetto, nessun angelo felice, né che possa vedere qualcosa di grande o di buono in qualche creatura, se ciò non fosse in quanto essi dimorano nell’amore e, parimenti, questi dimora nella creatura. Ella perde coscienza di ogni amore per partecipazione, per somiglianza e per imitazione. Non potrebbe immaginarsi che qualcuno possa dire, di essere contento in sé. Ella sente senza sentire, intende senza intendere, in una maniera inconcepibile, in cui tutta la contentezza consiste nello spogliarsi di ogni contentezza, come l’innamorato Ignazio di Antiochia diceva, per dimorare immerso nel mare immenso dell’amore di Gesù, per bruciare e consumarsi in questa fornace ardente di amore acceso nel suo seno. Tutto ciò avviene nell’interiorità dell’anima, con una gioia così eccessiva e profonda, che le sembra di essere già arrivata alla fine dei suoi desideri, dove si assapora senza gusto, si sente senza sentire nelle deliziose e affascinanti fiamme del puro amore, nel suo luogo naturale e nella sua sorgente primitiva. (Louis Chardon, La Croce di Gesù, II, cap. VIII).

 

Autore Chardon Louis

Gesù ha messo il suo corpo nel Santissimo Sacramento non secondo le leggi che reggono gli altri corpi ma in un modo che lo rende più amabile e insieme più ammirevole rispetto a tutte le sue opere. Il suo amore lo tiene lì, ridotto in uno stato in cui non ha essere né vita né presenza, se non per noi; in uno stato che non è degno della sua grandezza ma commisurato al nostro bisogno. Lì, si priva della sua gloria esterna, ma questo non è niente purché possa essere utile a noi, comunicandoci più facilmente la vita nella sua sorgente primitiva.
In questo sacramento infatti la catapecchia dei poveri o il tugurio degli appestati non ripugna a Gesù. Egli non preferisce i gabinetti dei principi o i palazzi fastosi dei più gloriosi monarchi alla cella del lebbroso. L’inclinazione amorosa che lui ha di effondersi, non prova avversione per le labbra e le viscere più ripugnanti. Se è calpestato dai più scellerati, questo è per lui indifferente; riceve Giuda, il traditore, come riceve il suo apostolo diletto. Se vi è onorao o disprezzato, adorato o maledetto, lodato o aborrito, questo non lo scalfisce, purché lasci sulla terra questo motto di un Dio che ama, come dice san Dionigi, fino all’estasi: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (LOUIS CHARDON, La Croce di Gesù, in MAX HUOT DE LONGCHAMP, Quaresima per i fannulloni … alla scuola dei santi 11, Il Pozzo di Giacobbe, 2016, p. 92).

 

Autore Guigo il Certosino

Il pane dell’anima è Cristo, “il pane vivo, disceso dal cielo” (Gv 6,51) e che nutre i suoi, Ora per mezzo della fede, nel mondo futuro per la visione. Poiché Cristo abita in te per la fede, e la fede nel Cristo è Cristo nel tuo cuore (Ef 3,17). Nella misura con cui credi in Cristo, in questa misura lo possiedi.

E Cristo è in verità un solo pane, “poiché c’è un solo Signore, una sola fede” (Ef 4,5) per tutti i credenti, anche se alcuni ricevono più, altri meno del dono della stessa fede… Come la verità è una, una sola fede nella verità unica conduce e nutre tutti i credenti, e “tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole” (1Cor 12,11).

Viviamo dunque tutti dello stesso pane e ciascuno di noi riceve la sua parte; eppure Cristo è tutto intero per tutti, tranne per coloro che rompono l’unità… Nel dono che ho ricevuto, possiedo tutto il Cristo e Cristo mi possiede tutto intero, come il membro che appartiene a tutto il corpo possiede di ritorno il corpo intero. Questa porzione di fede che hai ricevuto nella condivisione è quindi come il piccolo pezzo di pane che è nella tua bocca. Ma se non mediti frequentemente e piamente quanto credi, se non lo mastichi, per così dire, triturandolo coi denti, cioé coi sensi del tuo spirito, non passerà oltre la gola, cioé non arriverà fino alla tua intelligenza. Infatti come potrai comprendere ciò che mediti raramente e con negligenza, soprattutto se si tratta di una cosa tenue e invisibile? … Dunque, attraverso la meditazione “la legge del Signore sia sempre sulla tua bocca” (Es 13,9) perché nasca in te la buona intelligenza. Attraverso la buona comprensione, il cibo spirituale passa nel tuo cuore, affinché tu non trascuri quanto hai compreso ma lo accogli con amore. (GUIGO IL CERTOSINO, Meditazione 10).

 

Autore Rouly Smitz Jeanne

«Colui che beve il mio sangue e mangia la mia carne ha la Vita eterna». In questo momento, ho in me, in un modo visibile, la Vita eterna, perché la sento». Io non vedevo la parola «possedere», sebbene sapessi che ciò costituirà la nostra felicità: possederemo Dio e saremo posseduti da Lui «eternamente». Mentre avevo l’impressione di dirmi: «Eternamente è essere sempre come sono adesso», ero in uno stato che sentivo non sarebbe mai cessato. Io ero nell’eternità, talmente provavo ciò che era la Vita eterna. . […]. Mi sono sentita come schiacciata, talmente ero illuminata. Vedevo: «Chi mi mangia, vivrà di me!» Ero tanto meravigliata e felice al grado supremo! Non penso di avere avuto altre volte, una grazia così forte. Mi sentivo completamente lontana da tutto. Ero in chiesa e non avevo più la preoccupazione di pensare che ero in chiesa e [cosa che mi preoccupa sempre, unita a un certo timore] che avrebbero potuto trovarmi singolare. La mia principale felicità è ridirmi che mai avevo avuto ancora questo sentimento totale di non esistere più, di non sapere più dove mi trovassi. Comprendo la parola «estasi». Vuol dire: «Essere in ciò che si vede». Io vedevo: «In Lui era la Vita». E vedevo che da Lui ogni vita prende vita. Mi sentivo immersa in questa Vita e mi dicevo tutto il tempo: «Chi mangia di me, vivrà». Ogni volta era come se io bevessi maggiormente questa vita. Mi sentivo come morire di adorazione e d’amore. […]. «Chi mangia di me, vivrà di Me». Mi sentivo in quella Vita, la vedevo, gustavo la felicità di essere in quella Vita, di berla, di possederla sentendomi posseduta da lei. Ero nella felicità assolutamente sovrumana che Dio mi ha già dato di gustare e che è una pienezza di felicità. Si è in questa Verità che si vede, senza vedere assolutamente niente, nel senso reale della parola «vedere», perché si vede la Verità. (ROULY SMITZ JEANNE, Diario spirituale. La felicità di amare Dio, RASPANTI A – MANCUSO M.R. (Edd), pp.149, 160-161, 165).

 

Autore Tommaso d’Aquino

Dio onnipotente ed eterno, ecco che mi avvicino al sacramento del tuo Figlio unigenito, il nostro Signore Gesù Cristo. Malato, vengo dal medico dal quale dipende la mia vita; macchiato, alla sorgente della misericordia; cieco, al focolare della luce eterna; povero e privo di tutto, dal maestro del cielo e della terra.

Imploro dunque la tua immensa, la tua inesauribile generosità, affinché ti degni di guarire le mie infermità, di lavare le mie macchie, di illuminare la mia cecità, di colmare la mia indigenza, di coprire la mia nudità; e così, io possa ricevere il pane degli angeli (Sal 77,25), il Re dei re, il Signore dei signori (1 Tm 6,15), con tutta la riverenza e l’umiltà, tutta la contrizione e la devozione, tutta la purezza e la fede, tutta la fermezza del proposito e la rettitudine dell’intenzione che la salvezza della mia anima richiede.

Dammi, ti prego, di non ricevere semplicemente il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma proprio tutta la fortezza e l’efficacia del sacramento. Dio pieno di mitezza, dammi di ricevere il Corpo del tuo Figlio unigenito, nostro Signore Gesù Cristo, questo corpo materiale che egli ha ricevuto dalla Vergine Maria, in modo tale da meritare di essere incorporato al suo corpo mistico e di figurare tra le sue membra.

Padre pieno di amore, concedi a me che sto per ricevere ora il tuo Figlio amatissimo sotto il velo che si addice al mio stato di pellegrino, che io possa un giorno contemplarlo a viso scoperto e per l’eternità, lui che, essendo Dio, vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen. (TOMMASO D’AQUINO S. Preghiere).

 

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Luglio, 2024