Francesco di Sales
La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. […]. A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compiere gli atti.
Siccome la devozione si trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate. […].
Guarda la scala di Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione all’unione d’amore con Dio.
Ed ora dà uno sguardo a coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte, perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché sono realmente inseriti nel mondo e usano le
cose di questo mondo, ma in modo pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le persone devote. (FRANCESCO DI SALES, Filotea. Introduzione alla vita devota, Paoline 1984, pp. 21-23; 25).
Francesco di Sales s.
POSSIBILE IN OGNI VOCAZIONE E PROFESSIONE – Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
È un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta. (FRANCESCO DI SALES s., Introduzione alla vita devota, Parte 1, cap. 3).
Marmion Columba
Devozione viene dalla parola latina devovere: dedicare, consacrare se stesso ad una persona amata. La devozione a Dio è la consacrazione totale della nostra vita a Dio, è la più alta espressione del nostro amore. «Amerete Dio con tutto il vostro cuore, con tutta l’anima vostra, con tutto lo spirito vostro, con tutte le forze vostre (Marc. XII, 30). Questo «totus» contrassegna la devozione: amare Dio con tutto se stesso, senza riserva, senza interruzione, amarlo al punto di dedicarsi al suo servizio con prontezza e facilità: ecco che cos’è la devozione, e, intesa così, costituisce la perfezione, poiché essa è il fiore della carità (MARMION COLUMBA, CristoXIX. I).
Grou Jean-Nicolas
La parola devozione che è latina, significa dedizione: una persona devota è dunque una persona che si è dedicata a Dio. Non vi è quindi espressione più forte di questa per indicare la disposizione dell’anima di voler fare e soffrire qualsiasi cosa per colui al quale si è dedicata. La dedizione alle creature (vale a dire quanto è legittimo e autorizzato da Dio) ha necessariamente dei limiti, mentre
dedicarsi a Dio non ne ha affatto e non ne può avere. Non appena si pone la pur minima riserva, la benché minima eccezione, ecco che, allora, ciò non è più devozione. La vera e solida devozione è dunque quella disposizione del cuore, che ci rende pronti a fare e a sopportare, senza eccezioni né riserve, tutto quanto attiene al beneplacito di Dio.
Il vero devoto è un uomo di orazione, il quale trova le sue delizie nel trattenersi con Dio, che non perde mai o quasi mai la sua presenza, non già che pensi sempre a Dio, ciò è impossibile quaggiù, ma perché è continuamente unito a lui col cuore ed è in tutto guidato dal suo spirito. Il vero devoto si studia di adempiere perfettamente tutti i doveri del suo stato e tutti i giusti riguardi dovuti alla società. Egli è fedele ai suoi esercizi di devozione, ma non ne è schiavo: li interrompe, li sospende, li lascia pure per un po’ quando la necessità o la semplice convenienza lo richiedono. Purché non faccia la propria volontà è sempre sicuro di fare quella di Dio.
Il vero devoto non corre in cerca di opere pie, ma attende che se ne presenti l’occasione. Fa quanto dipende da lui per il buon esito di quelle, ma ne abbandona il successo a Dio. Preferisce le opere buone che sono più oscure rispetto a quelle che hanno più lustro, ma non ne rifugge quando è in gioco la gloria di Dio e l’edificazione del prossimo. L’uomo devoto non si sovraccarica di preghiere vocali e di pratiche che non gli lasciano il tempo di respirare, conserva sempre la libertà di spirito, non è né scrupoloso, né inquieto su di sé, ma cammina con semplicità e fiducia. Egli è determinato nel non rifiutare nulla a Dio, nel non concedere niente all’amor proprio, nel non commettere alcuna colpa volontaria, ma senza cavilli. Procede con schiettezza, non è minuzioso, e se cade in qualche errore non si turba, ma se ne umilia, si rialza e non vi pensa più. (GROU JEAN NICOLAS, Manuale delle anime interiori, In HUOT DE LONGCHAMP MAX, Quaresima per i fannulloni… alla scuola dei santi 7, Il pozzo di Giacobbe 2022, (Ed) Confraternita B.V.M. del Monte Carmelo, pp.54-55.