Contemplazione

Autore Malaval F.

EFFETI DELLA CONTEMPLAZIONE – Questa orazione (contemplazione) è accompagnata ora da contrizione, ora da tenerezze d’amore di Dio, ora da lacrime, ora dal desiderio di soffrire, qualche volta da luci improvvise sui misteri della fede, da un rispetto profondo per Dio presente, da una conoscenza di sé che arreca insieme la confusione e la fiducia, da una stima di Dio al di sopra di tutto ciò che è creato, da un disprezzo delle creature, da un proposito di perseverare nella contemplazione e infine da molte conoscenze e movimenti, secondo la necessità che Dio vede in ciascuno. Tutti questi atti si presentano nella preghiera senza esser procurati o ricercati. Se ne presentano anche fuori dal tempo di preghiera, soprattutto quando si è raccolti e alla presenza di Dio. Ma quand’anche l’anima non avesse questi atti, non smetterebbe d’essere in contemplazione, perché la contemplazione non è altro che uno sguardo fisso su Dio presente, mentre il resto sono conseguenze ed effetti. (MALAVAL. F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial I).

 

Autore Malaval F.

DIO, SPOSO E MAESTRO – Che cos’è la contemplazione? Dir.: è una grazia, Filotea, avere all’inizio dubbi e difficoltà su questa preghiera. Sembra che Dio li faccia nascere nella mente di alcuni per risolverli lui stesso attraverso risposte interiori ed efficaci; allora egli li istruisce pienamente su tutto quel che i dottori mistici non potrebbero mai insegnar loro su questa materia, divenendo d’un sol colpo lo sposo e il maestro di queste anime scelte. Ho conosciuto persone che, dopo essersi fedelmente abbandonate allo Spirito di Dio, ricevevano tante grazie e lumi da non leggere quasi più i libri e non consultare più i maestri di vita spirituale, se non per confermarsi nel cammino senza imparare nulla di nuovo, e per assicurarsi solo che non si erano ingannate quando avevano seguito le loro ispirazioni. È la scienza che Dio ordinariamente si riserva per comunicarla immediatamente lui stesso, e non vediamo un libro d’un uomo veramente spirituale, che non sia singolare in alcuni lumi e in alcuni insegnamenti che non si trovano negli altri. La ragione per cui lo Spirito Santo insegna questa scienza alle anime è che Dio puro oggetto della contemplazione non può essere così ben conosciuto o altamente comunicato con i termini della scienza umana, che sono materiali e limitati, e fanno conoscere Dio per parti e concetti distinti. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial II, 1-3).

 

Autore Merton Thomas

Nella tradizione cristiana la contemplazione è semplicemente «l’esperienza» (o, meglio, la conoscenza quasi esperienziale) di Dio in una oscurità luminosa che è la perfezione della fede che illumina il nostro io più profondo. È un «incontro» dello spirito con Dio in una comunione d’amore e di comprensione che è dono dello Spirito Santo e una penetrazione nel mistero di Cristo. La cosa importante nella contemplazione non è il godimento, non è il piacere, non è la felicità, non è la pace, ma l’esperienza trascendente della realtà e della verità nell’atto di un amore spirituale supremo e liberato. La cosa importante nella contemplazione non è la gratificazione e il riposo, ma la consapevolezza, la vita, la creatività e la libertà. Di fatto, la contemplazione è l’attività spirituale più alta e più essenziale dell’uomo. È l’affermazione più creativa e dinamica della sua figliolanza divina. Non è semplicemente l’abbraccio sonnolento, soave e riposante dell’«essere» in una situazione di soddisfacimento oscuro, generalizzato: è un lampo illuminate della divinità che trafigge l’oscurità del nulla e del peccato. Non qualcosa di astratto e di generico, ma al contrario quanto ci possa essere di più concreto, particolare ed «esistenziale». È il confronto dell’uomo con il suo Dio, del figlio con il Padre. È il risveglio di Cristo dentro di noi, l’instaurazione del regno di Dio nella nostra anima, il trionfo della verità e della libertà divine nel nostro «io» più profondo nel quale il Padre diventa una sola cosa con il Figlio nello Spirito che è dato ai credenti. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 72).

 

Autore Giovanni della Croce s.

SEGNI DELLA CONTEMPLAZIONE –  Il primo segno è che ella (l’anima) si accorge di non poter più meditare e discorrere con l’immaginazione, né provare gusto in questo esercizio, come per il passato, anzi ora ella trova secchezza in ciò su cui aveva l’abitudine di fissare il senso e da cui era solita ricavare gusto. Essa però non dovrà abbandonare la meditazione, finché potrà ritrarne frutto e discorrere, a meno che non si stabilisca nella pace e nella quiete delle quali si parlerà al terzo segno Il secondo si ha quando l’anima si accorge di non avere alcun desiderio di applicare l’immaginazione e il senso a nessun altro oggetto particolare, esteriore o interiore. Con ciò non voglio dire che la fantasia non si sbizzarrisca a suo piacere, perché anche nel più grande raccoglimento essa non cessa di essere libera, ma che l’anima non gode di applicarla di proposito alle altre cose. Il terzo, e più certo, è se l’anima trova soddisfazione a starsene sola con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo, senza atto né esercizio delle sue potenze – intelletto, memoria e volontà – per lo meno senza quello discorsivo, che consiste nel passare da una cosa ad un’altra; gode invece di rimanere nell’attenzione e conoscenza generale amorosa, di cui ho parlato, facendo a meno di ogni conoscenza particolare e rinunciando a comprendere l’oggetto. La persona spirituale deve vedere contemporaneamente in sé almeno questi tre segni prima di decidersi a lasciare lo stato della meditazione e del senso per entrare in quello della contemplazione e dello spirito. (GIOVANNI DELLA CROCE, 2 Salita al monte Carmelo, 13, 2-5)

 

Autore Malaval F.

PRINCIPIANTI – Il primo passo nella contemplazione […] è un vero desiderio di ascoltare Dio, facendo tacere tutti i propri pensieri, tutti gli affetti della propria volontà e tutti i suoi discorsi. […] Gettare uno sguardo amoroso su Dio presente, che essendo dappertutto, è anche di conseguenza nella vostra anima; e fermare questo semplice sguardo su di lui, per il tempo che vi sarà possibile, senza nulla pensare né desiderare durante quel tempo, dal momento che avendo Dio avete tutto. (MALAVAL F., Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial I).

 

Autore Malaval F.

RIPOSO CONTEMPLATIVO – L’anima chiamata alla contemplazione non può più meditare o medita con inquietudine, quantunque questo non provenga né dall’indisposizione del corpo né dall’umore melanconico né dalla mancanza di preparazione, né dal difetto d’attenzione nell’orazione, né dall’ozio (perché queste cinque cose potrebbero rendere sospetta l’impotenza a meditare). Si sente per di più in mezzo alla violenza che ci si fa per meditare, un’attrazione di dolcezza e di devozione che trascina l’anima, strappandola come a viva forza dalle catene della meditazione, con cui essa si sforza di legarsi strettamente, e mettendola in un riposo da cui non vorrebbe mai uscire. Essa lascia delle dolcezze nell’anima durante il giorno, e questa vorrebbe fare non so che per Dio, che non è in tutti i suoi esercizi ordinari di devozione e che le impediscono di gustarle. Ella cerca la solitudine; le conversazioni non le piacciono come prima; le letture spirituali l’annoiano. Tuttavia questa noia proviene dal fatto che ella sente interiormente una soavità di cui i libri ordinari non le parlano affatto; in questo modo, si trova sospesa tra il desiderio di godere e la diffidenza, finché un maestro, o un libro che la provvidenza le invia, le spiegano ciò che ella sentiva senza conoscere e la svelano a se stessa; così si rassicura e le resta un’avidità d’essere più perfettamente istruita. Dopo essersi rassicurata del cammino dalla viva voce di un direttore o dalla lettura, si viene ad abbandonare la meditazione per contemplare; vi si passa un’ora, due ore, senza noia e in una grande tranquillità. Alcuni sin dalla prima volta fanno così facilmente quest’orazione come se l’avessero praticata tutta la vita, e trascorrono anni interi nelle dolcezze pure e spirituali di questo riposo. (MALAVAL. F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial I).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE INFUSA – Il concetto di contemplazione passiva o “infusa” è soprattutto teologico. E cioè, si riferisce a una realtà che non è direttamente o empiricamente verificabile, ma che è un dato di rivelazione. La rivelazione di questa intuizione passiva sembra essere esplicita nelle affermazioni del Vangelo di Giovanni. Quando Cristo dice: «Manifesterò me stesso a lui», significa che questa «attività» è opera del Signore, e che colui che contempla la presenza divina non è in condizione di determinarne la manifestazione con qualche sforzo da parte sua. E nemmeno è in grado di accrescerla o modificarla con i suoi sforzi.  (MERTON T.,  L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, p. 107).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE PURA – Theologia, o contemplazione pura (o teologia mistica, nel linguaggio dello Pseudo Dionigi), è un contatto diretto quasi-sperimentale con Dio al di là di ogni pensiero, e cioè senza la mediazione di concetti. Questo esclude non solo i concetti tinti di passione, o sentimentalismo, o immaginazione, ma anche le intuizioni intellettuali più semplici che richiedono una qualche mediazione tra Dio e lo Spirito. In questo senso, la teologia è un contatto diretto con Dio. Quindi questa massima contemplazione cristiana è una conoscenza quasi sperimentale di Dio così com’è in sé, e cioè, di Dio come Tre Persone in una natura. La possibilità di entrare in questo mistero supremo non è una questione di sforzo spirituale, di sottigliezza intellettuale, ancor meno di erudizione. È una questione di identificazione mediante la carità, perché la carità è la somiglianza dell’anima a Dio. Come dice Giovanni: L’amore è da Dio e chi ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è amore… Da questo conosciamo che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: che egli ci ha dato il suo Spirito. E noi abbiamo visto e attestiamo che il Padre ha inviato il Figlio come salvatore del mondo (Gv 4,7-8; 13-14). Perché l’uomo che è perfetto nell’amore diventa come Dio che è amore, e in questo è in grado di sperimentare dentro di sé la presenza delle Tre Persone divine: il Padre, fonte e datore di amore, il Figlio, immagine e gloria dell’amore, e lo Spirito che è la comunicazione del Padre e del Figlio nell’amore. Ma questa teologia ha anche un’altra caratteristica che non deve essere trascurata. È sì un contatto con Dio nell’amore, ma anche e soprattutto nell’oscurità della non conoscenza. Questo deriva necessariamente dal fatto che va al di là dei simboli e delle intuizioni dell’intelletto, e raggiunge Dio direttamente senza far uso di qualche immagine creata. Se c’è una mediazione, questa non è intellettuale, non un’immagine o una specie nella mente, ma una disposizione di tutto il nostro essere, determinata da quell’amore che ci lega e ci conforma talmente a Dio che diventiamo capaci di sperimentarlo misticamente nel e mediante il nostro io più profondo, come se egli fosse proprio il nostro io. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, pp. 124-125).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE NATURALE. – La contemplazione naturale è l’intuizione delle cose divine nel e mediante il riflesso di Dio nella natura e nei simboli della rivelazione. Essa presuppone una purificazione completa del cuore mediante una lunga preparazione ascetica che abbia liberato l’anima dalla soggezione alla passione e, per conseguenza, dalle illusioni generate dall’attaccamento passionale alle cose esteriori. Quando l’occhio è puro e «unificato» (e cioè, disinteressato, che ha solo «una intenzione»), allora può vedere le cose come sono. Ora la parola «naturale» in connessione con questo genere di contemplazione si riferisce non alla sua origine, ma al suo oggetto. La contemplazione naturale è la contemplazione del divino nella natura, e non la contemplazione del divino grazie alle nostre capacità naturali. E di fatto, la contemplazione naturale in questo senso è mistica: è un dono di Dio, una illuminazione divina. Ma essa richiede anche travaglio e preparazione da parte del contemplativo. Egli deve guardarsi in giro, vedere il mondo creato e i simboli di cui è pieno. Deve accogliere, nel linguaggio dei segni della Scrittura e della liturgia, le parole Dio che trasformano la sua vita interiore. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 124).

 

Autore Malaval F.

CONTEMPLAZIONE ORDINARIA O ACQUISITA – si fa ancora con il travaglio dello spirito, ed è l’inizio dei favori. È la ragione per cui si è spesso chiamati alla contemplazione ordinaria dopo esser passati attraverso sufficienti prove di mortificazione, e dopo aver abbandonato l’affetto del peccato. […] l’anima deve riposare in Dio con la sua applicazione e il suo sforzo. (MALAVAL F., Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 7°).

 

Autore Malaval F.

CONTEMPLAZIONE STRAORDINARIA O INFUSA – Per ottener(la) l’anima deve essere ben più morta a tutte le cose di quanto lo sia per avere qualche parte all’altra; perché la contemplazione infusa è un godimento di Dio e una comunicazione delle sue carezze, in cui l’anima non fa che seguire l’impetuosità dello Spirito divino.[…] Dio del tutto calmo e tranquillo riposa nell’anima (per usare il linguaggio di s. Bernardo), ciò che si fa senza molto sforzo e senza molta applicazione.(MALAVAL F., Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 7°).

 

Autore Malaval F.

SI PUO’ RICERCARE LA CONTEMPLAZIONE – coloro che non hanno impedimenti di natura che li allontana dalla contemplazione, possono ricercarla e domandarla a Dio.[…] senza premura e disporvisi nel miglior modo possibile. Intendo dire, Filotea, che si può ricercare la contemplazione, questa orazione di fede che è una calma amorosa dell’anima e una più stretta unione con Dio, ma non i rapimenti né le estasi né i doni straordinari che possono eccitare il nostro orgoglio. Perché si può domandare una grande fede e un grande amore, e di conseguenza si può domandare la contemplazione ordinaria e infusa, che sono l’una e l’altra l’esercizio continuo e permanente di una più perfetta fede e d’un più perfetto amore. (MALAVAL F., Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial II, colloquio 8°).

 

Autore Malaval F.

La contemplazione, Filotea, è un’orazione di silenzio e di riposo in cui tutta l’anima raccolta adora Dio presente. […] la lingua non sa che dire di lui, è ineffabile; la mente non sa che pensare, è incomprensibile; la volontà non sa che volere né che desiderare, è infinitamente amabile; la memoria non osa ricordarsi di niente, ricordandosi di colui che è tutto. L’anima gusta e possiede sensibilmente la verità. Questo silenzio che si fa con grazia e con attrazione è seguito da un grande riposo, perché contemplare non è semplicemente cessare d’agire, è riposarsi in Dio e concentrare in questo riposo tutte le proprie azioni. […] in quest’orazione tutta l’anima raccolta adora Dio, perché quale omaggio più puro di quando ci si arresta a Dio puro? L’anima è raccolta dall’ammirazione, dalla compiacenza e dalla gioia che non sono per ciò atti né movimenti diversi, ma una rifusione e uno zampillio dell’amore di Dio. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 12°).

 

Autore Malaval F.

La contemplazione è una presenza fissa di Dio. Non dico semplicemente un’abitudine, perché le abitudini si trovano anche in coloro che dormono, e per ciò a rigor di termini essi non meritano nulla. Non è più un esercizio ordinario che si fa a certe ore e in certe occasioni: è un atto continuo che è propriamente la moltiplicazione di uno stesso atto, ma così dolcemente e facilmente prodotto dalla forza dell’abitudine che si direbbe che è un atto solo, come si vede che gli occhi producono una volta al giorno un’infinità di sguardi, ma la facilità naturale di guardare sembra renderli un solo sguardo. Così la contemplazione è uno sguardo universale di Dio presente. Dico uno sguardo perché è un atto dell’intelletto che è l’occhio dell’anima, come la volontà lo è del cuore. Lo sguardo ha questo di proprio che avviene in un istante ed esce dall’occhio senza sforzo, mentre la parola esce dalla bocca una sillaba dopo l’altra e colpisce l’orecchio dopo una successione di tempo. Il ragionamento della meditazione somiglia alla parola, si compone di un pensiero dopo l’altro ed è sempre una specie di movimento. La contemplazione al contrario somiglia allo sguardo, raggiunge l’oggetto in un istante e riposa in esso senza discorso e senza pensiero. Questo sguardo è universale perché considera Dio in tutto ciò che è e non i suoi attributi. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla  contemplazione, Dial. II, colloquio 12).

 

Autore Malaval F.

La contemplazione si definisce ancora una sapienza amorosa che gusta Dio presente. La sapienza è una conoscenza della verità attraverso la sua più alta causa. Così colui che tiene il comando di una nave è chiamato sapiente nella sua arte, perché conosce le stelle e i venti che sono propri del navigare, mentre i marinai sono occupati intorno alle vele e alle corde. L’architetto è chiamato sapiente nell’arte di costruire perché guida il disegno che è la più alta causa della costruzione, mentre i comuni muratori si limitano ad applicare le pietre e gli altri materiali. Colui che contempla Dio ha la sapienza vera, perché egli contempla Dio in quanto è Dio, che è la maniera più nobile di conoscerlo. Questa sapienza lo ama e lo gusta: essa non disputa, crede; non cerca, ma gode. Quando non si impedisce il suo effetto la conoscenza di Dio produce l’amore come la luce del sole produce infallibilmente il calore, quando non incontra né vento né nube e scende perpendicolarmente sulla terra. Lasciate credere agli uomini ciò che vorranno, Filotea, è impossibile guardare Dio senza amarlo e guardarlo sempre senza amarlo sempre, l’oggetto della fede è infinitamente amabile. La natura ha inclinazione ad amare il sommo bene, la fede lo fa vedere tal quale è, l’attrazione della grazia ci invita a vederlo e amarlo, la presenza perpetua conferma e familiarizza questo amore ed attira sempre una più grande influenza che ci inabissa nel torrente della divinità. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla  contemplazione, Dial. II, colloquio 12)

Autore Malaval F.

CONTEMPLAZIONE UNFUSA E DONO DELL’INTELLETTO – Oltre ciò che abbiamo detto, Filotea, della chiarezza con cui la contemplazione illumina la fede, bisogna ancora sottolineare che sebbene questo avvenga nella contemplazione attiva, tuttavia quando essa passa in infusa e passiva, il dono dell’intelletto, che è uno dei sette doni dello Spirito Santo, illumina più straordinariamente la fede non solo con un soavissimo assenso, ma anche con una più intima penetrazione. Il dono dell’intelletto è un dono che ci fa credere le verità necessarie alla nostra salvezza con una certezza invincibile; proprio come c’è un’intelligenza tra le conoscenze umane che ci fa credere indubitabilmente e invincibilmente i primi principi delle scienze. Chi mai dubita difatti tra gli uomini che il tutto sia maggiore della metà e che una stessa cosa non può essere e non essere? Così tramite l’intelligenza dello Spirito Santo, che è l’intelligenza soprannaturale, si viene a credere senza riflessione e senza ambiguità che c’è un Dio, che il Padre produce il Figlio, e tutte le altre verità della fede. Ora attraverso l’esercizio della contemplazione si coopera più efficacemente a questo dono d’intelletto e comunicandosi di più la sua influenza, illumina la fede e la rende più chiara di quanto fosse prima. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 12)

Autore Malaval F.

ATTO DI FEDE – La contemplazione è un atto di fede su Dio presente, che con il soccorso della grazia diviene continuo e familiare, e così è un atto universale come la sua luce e il suo oggetto. La fede produce la contemplazione e la contemplazione illumina la fede, come vediamo che un grano di mostarda produce un grande albero che era racchiuso nel suo seme e, dopo, quest’albero produce un’infinità di grani e di semi; perché la contemplazione aumenta straordinariamente la fede e la rende più efficace, più penetrante, più luminosa e più universale di quanto non era. A forza di ragionare con la natura la mente si rende grande e a forza di credere con la grazia la mente si rende divina. Ah! Filotea, questo meraviglioso esercizio della fede è la beatitudine di questa vita. «Beati sono coloro che credono e non vedono», perché una grande fede esercitata con la contemplazione produce un grande amore e una grandissima, strettissima e perfetta unione con Dio, che è nostra felicità. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 12),

 

Autore Malaval F.

BELLA OSCURITA’ – Una più grande luce della contemplazione produce una più grande e più ammirabile oscurità, cioè essa ci fa apparire Dio sempre più incomprensibile, più infinito, per così dire, e più al di sopra della ragione. Ed è in ciò che questa luce è veramente luce. «Non vi meravigliate che sono nera», dice la Sposa del Cantico, «il sole mi ha brunita. Sono nera ma bella». Ella era nera, dice un Padre, non di una nerezza d’orrore, ma di una nerezza di profondità; il suo sposo l’oscurava illuminandola. La prima luce che Dio creò nel mondo mostrò di primo acchito un gran caos, e la viva luce della fede ci fa vedere Dio come un grande abisso. Ecco perché chiamiamo la contemplazione un atto confuso di Dio presente, non confuso per un disordine, ma confuso per incomprensione. Noi vediamo confusamente ciò che i beati vedono distintamente, e vediamo in un enigma ciò che essi contemplano in Dio come nella sua propria luce. Dio è nel cielo un albero di vita e sulla terra un seme di vita; il seme contiene tutto l’albero in piccolo e confusamente, e la fede contiene in piccolo e confusamente la visione di Dio. Allorché il Salvatore del mondo salì al cielo, gli apostoli lo seguivano con gli occhi, ma una nube presto lo sottrasse ai loro sguardi; questa oscurità produsse la fede e questa fece loro adorare il Salvatore, assiso alla destra del Padre suo. Mosè salì molto e quando fu in cima alla montagna, fu avvolto da una nube nella quale vide Dio. È una figura di ciò che si vede di Dio nel mondo; egli è ancor più grande ed elevato attraverso l’oscurità che ci circonda. […]Bella oscurità che sei un effetto della luce! Sei più nobile ed eccellente della stessa luce, e ciò che noi ignoriamo di Dio è incomparabilmente più perfetto di ciò che noi ne conosciamo. (MALAVAL F. Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, Dial. II, colloquio 12).

 

Autore Giovanni della Croce s.

DALLA MEDITAZIONE ALLA CONTEMPLAZIONE – Quando si verificano le aridità di questa notte dei sensi, nella quale Dio opera il cambiamento di cui ho parlato prima, egli sottrae l’anima alla vita dei sensi per elevarla a quella dello spirito, cioè la fa passare dalla meditazione alla contemplazione, dove essa non può più agire con le sue facoltà e discorrere sulle cose di Dio. Proprio a questo punto le persone spirituali soffrono grandi pene, non tanto per le aridità che subiscono, quanto per la paura di vedersi smarrire in questo cammino. Pensano che tutto il bene spirituale sia finito e che Dio le abbia abbandonate, perché non trovano né aiuto né consolazione alcuna negli esercizi di pietà. Allora si affaticano e cercano, com’erano solite, di fissare con un certo piacere le loro potenze su qualche oggetto discorsivo. Se non fanno così e non si sentono portate ad agire, credono di non fare nulla. Tutto ciò procura all’anima un profondo disgusto e una grande ripugnanza interiore, mentre essa voleva restare nella calma, nella tranquillità e nel riposo delle potenze. Così, dunque, da una parte essa si affatica, dall’altra non trae nessun bene. Volendo servirsi del proprio spirito, perde questo spirito di tranquillità e di pace che aveva. Somiglia a colui che abbandona il già fatto per rifarlo daccapo; a colui che esce dalla città per poi rientrarvi; o a colui che lascia la preda catturata per inseguirla di nuovo. Tale comportamento è assolutamente inutile perché, ripeto, l’anima non approderà a nulla ritornando al suo primo metodo. Se in tale situazione queste anime non trovano un padre spirituale che le comprenda, tornano indietro, abbandonando o rallentando il cammino, o perlomeno si creano ostacoli a procedere, a causa dei molteplici sforzi che fanno per seguire il cammino della meditazione e del ragionamento. Si affaticano e si tormentano fino all’eccesso, convinte che ciò accade a motivo delle loro negligenze e dei loro peccati. Ora, tutto ciò è inutile, perché ormai Dio le guida per un altro cammino, quello della contemplazione, totalmente diverso dal precedente: quest’ultimo, infatti, è quello della meditazione e del ragionamento, mentre il nuovo si sviluppa senza l’immaginazione e il ragionamento. (GIOVANNI DELLA CROCE s., Notte oscura, Libro I, cap. 10).

 

Autore Giovanni della Croce s.

La contemplazione non è altro che infusione segreta, piena di pace e d’amore per Dio che, all’occasione, infiamma l’anima d’amore. (GIOVANNI DELLA CROCE s., Notte oscura, Libro I, cap. 10).

 

Autore Merton Thomas

La contemplazione è opera dell’amore e il contemplativo prova il suo amore lasciando tutte le cose, anche le cose più spirituali, per Dio nella  nullità, nel distacco e nella «notte». Ma il fattore decisivo nella contemplazione è l’azione libera e imprevedibile di Dio. Solo lui può concedere il dono della grazia mistica e farsi conoscere mediante il contatto segreto e ineffabile che rivela la sua presenza nella profondità dell’anima. Ciò che conta non è l’amore dell’anima per Dio, ma l’amore di Dio per l’anima. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo srl,  Cinisello Balsamo 2005, p. 130).

 

Autore Merton Thomas

La contemplazione è un amore soprannaturale e una conoscenza soprannaturale di Dio, semplice e oscura, infusa da lui nel punto più alto dell’anima,  e che le trasmette un contatto diretto e sperimentale con lui. La contemplazione mistica è un’intuizione di Dio nata dall’amore puro. È un dono di Dio che trascende assolutamente tutte le capacità naturali dell’anima e che nessuna persona può acquisire con qualche suo sforzo. Ma Dio la trasmette all’anima nella misura in cui essa è pulita e svuotata di tutte le affezioni per le cose che non siano lui stesso. In altre parole, è Dio che si manifesta, secondo la promessa di Cristo, a coloro che lo amano. Inoltre anche l’amore con cui essi lo amano è un suo dono: lo possiamo amare solo perché egli ci ha amati per primo. Ma la cosa che deve essere sottolineata è che la contemplazione stessa è uno sviluppo e un perfezionamento della carità pura. Colui che ama Dio si rende conto che la gioia più grande, la perfezione della beatitudine è amare Dio e rinunciare a tutte le cose per amore di Dio solo, o per amore dell’amore solo, perché Dio stesso è amore. La contemplazione è un’esperienza interiore del fatto che Dio è amore infinito, che ha dato totalmente se stesso a noi, e che quindi l’amore è tutto quello che conta. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, p. 131).

 

Autore Merton Thomas

RIVOLUZIONE INTERIORE CAUSATA DALL’OSCURITA’ CONTEMPLATIVA. La contemplazione infusa, presto o tardi comporta una terribile rivoluzione interiore. Finita la dolcezza della preghiera, la meditazione diventa impossibile, addirittura odiosa. Le funzioni liturgiche sembrano un fardello insopportabile. La mente non riesce a pensare. La volontà sembra incapace di amare. La vita interiore è piena di oscurità, di aridità e di sofferenza. L’anima è tentata di pensare che tutto sia finito e che, punizione per le sue infedeltà, tutta la vita spirituale sia arrivata alla fine. Questo è un punto cruciale della vita di preghiera. È a questo punto che molto spesso le anime, chiamate da Dio alla contemplazione, sono respinte da questo «discorso duro», tornano indietro e «non camminano più con lui» (Gv 6,61-67). Dio ha illuminato i loro cuori con un raggio della sua luce. Ma siccome sono accecati dalla sua intensità, questo raggio finisce con l’essere per loro un raggio di oscurità. Essi si ribellano nei suoi confronti. Non vogliono credere e rimanere nell’oscurità: vogliono vedere. Non vogliono camminare nel vuoto, con fede cieca, ma vogliono conoscere dove stanno andando. Vogliono essere in grado di dipendere da se stessi. Vogliono credere alle loro menti e alle loro volontà, ai loro giudizi e alle loro decisioni. Vogliono essere le guide di se stessi. Essi sono per questo uomini sensuali che «non percepiscono le cose che sono dello Spirito di Dio». Per loro, questa oscurità e questa impotenza sono follia. Cristo ha dato loro la sua croce e questo si è dimostrato essere uno scandalo. Essi non possono andare oltre. Solitamente rimangono fedeli a Dio: cercano di servirlo. Ma si allontanano dalle cose interiori ed esprimono il loro servizio nelle esteriori. Essi esprimono se stessi all’esterno mediante pratiche pie, o si immergono nel lavoro per sfuggire la sofferenza e il senso di sconfitta che hanno sperimentato in quello che sembra loro il collasso di tutta la contemplazione. «La luce ha brillato nelle tenebre e le tenebre non l’hanno accolta» Gv 1. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo srl,  Cinisello Balsamo 2005, p. 133).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE INFUSA. La contemplazione infusa ha un ben determinato elemento positivo, dinamico, vivente, creativo, trasformante. È una sorta di rivoluzione interiore, che sottrae in modo inesplicabile l’anima alla sua routine di pensiero e di desiderio per cercare ciò che non può essere pensato e afferrare ciò che sta al di là di ogni desiderio. Il primo segno della preghiera infusa è, quindi, questo cercare inesplicabile e intrepido, questa ricerca che non è impedita da aridità, oscurità, frustrazione. Al contrario, nell’oscurità più profonda trova pace, e nella sofferenza non manca di gioia. La fede pura e la speranza cieca bastano. La conoscenza chiara non è necessaria.  (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, p. 150).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE PRE-ESPERIENZIALE – C’è una sorta di contemplazione pre-esperienziale in cui l’anima semplicemente affonda nell’oscurità, senza sapere perché, e tende ciecamente verso qualcosa che non conosce. Solo più tardi c’è una verifica forte e soggettiva della verità che questo «qualcosa» verso cui l’anima va brancolando è in realtà Dio stesso e non solo un’idea di Dio o una velleità di unione con lui. Il semplice fatto di cercarlo ciecamente, intrepidamente, nonostante l’aridità, nonostante l’apparente inutilità e irrazionalità della ricerca, è, quindi, il primo segno che questa contemplazione pre-esperienziale possa essere infusa. Un altro segno potrebbe essere l’oblio delle preoccupazioni ordinarie e del livello abitudinario della vita nell’oscurità della preghiera. Anche se la ricerca contemplativa di Dio può sembrare in qualche modo senza senso, di fatto nelle profondità della nostra anima assume un significato rilevante, mentre, d’altra parte, le preoccupazioni apparentemente razionali e i progetti di vita normale sembrano ora quasi senza senso. Questo è importante, perché di fatto un’impressione abbastanza simile di mancanza di senso ora prevale ovunque e in forma più o meno forte si fa sentire a ogni uomo intelligente. Non che chiunque percepisce la futilità della vita sia ipso facto un contemplativo. Ma il fatto che l’esistenza secolare abbia cominciato a manifestare chiaramente la sua mancanza di senso a chiunque abbia occhi per vedere, mette in condizione tutte le persone sensibili e intelligenti di sperimentare qualcosa di simile a una delle fasi della purificazione pre-contemplativa. E queste persone possono approfittarne per imparare un distacco spirituale molto salutare e fruttuoso. Infine, un terzo segno che la contemplazione pre-esperienziale può avere un carattere infuso è la sensazione di attrazione ben precisa e forte che tiene l’anima prigioniera nel mistero. L’anima, pur essendo ricolma di un senso di afflizione e di fallimento, non ha alcun desiderio di fuggire da questa aridità. Anziché essere attratta da legittimi piaceri, attrazioni e svaghi dell’ordine naturale, li trova repellenti. Tutti i beni creati la lasciano scontenta. Essi non possono soddisfarla. Anche le consolazioni spirituali hanno perduto il loro richiamo e diventano noiose. E nello stesso tempo c’è una convinzione crescente che gioia e pace e pienezza si trovano solo in qualche modo unicamente in questa notte di aridità e di fede. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo srl,  Cinisello Balsamo 2005, p. 151).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE PURA. La contemplazione è pura nella misura in cui libera dagli elementi sensibili  e concettuali. Le intuizioni mistiche più basse e più elementari sono quelle che sono ispirate dai e fanno affidamento sui simboli presi dal mondo materiale. La contemplazione più alta e più perfetta va oltre l’immaginario sensibile e la comprensione discorsiva e risalta nell’oscurità dell’ «inconoscenza» (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo srl,  Cinisello Balsamo 2005, p. 129).

 

Autore Merton Thomas

LUCE DI DIO. La contemplazione è la luce di Dio che agisce direttamente nell’anima. Ma ogni anima è indebolita e accecata dall’attaccamento alle cose create che essa tende ad amare in maniera disordinata a causa del peccato originale. Per questo, la luce di Dio colpisce l’anima nel modo in cui la luce del sole colpisce un occhio malato. Provoca sofferenza. L’amore di Dio è troppo puro. L’anima, impura e malata, indebolita dal suo stesso egoismo, è scossa e respinta proprio dalla purezza di Dio. Si è formata le sue idee di Dio: idee che si basano sulla conoscenza naturale e che inconsciamente lusingano l’amore di sé. Ma Dio contraddice quelle idee. La sua luce respinge e sconfigge tutte le nozioni naturali riguardanti Dio che l’anima si è formata da sola. L’esperienza di Dio nella contemplazione infusa è una contraddizione assoluta con quello che l’anima ha immaginato su di lui. Il fuoco del suo amore infuso porta un attacco senza pietà contro l’amore di sé che l’anima coltiva: quell’anima è attaccata alle consolazioni umane e a quelle luci e sentimenti che essa ha richiesto da principiante, ma che ha falsamente considerato come le grandi grazie della preghiera. (MERTON, T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, p. 132).

 

Autore Merton Thomas

RISCHIO DELL’AUTOANALISI. L’esperienza della preghiera contemplativa, e i successivi stati di contemplazione attraverso i quali si passa, sono tutti modificati dal fatto che l’anima è passiva, o parzialmente passiva, sotto la guida di Dio. C’è una consolazione speciale nell’improvvisa consapevolezza e nella profonda convinzione esperienziale di essere trasportati o guidati dall’amore di Dio. Ma c’è anche un’angoscia speciale nella percezione acuta della propria debolezza e del proprio abbandono, quando si è nell’incapacità di fare qualcosa per sé. Quando le nostre facoltà non ci possono più servire nel loro modo ordinario, siamo obbligati a passare periodi di strana incapacità, amarezza e anche di apparente disperazione. In entrambi i casi, sarebbe meglio non prestare troppa attenzione al «fenomeno» che si ha l’impressione di sperimentare. È meglio purificare la propria intenzione e astenersi dall’autoanalisi. Le «profondità» di abbandono e amarezza che ci prendono quando siamo al di fuori della nostra sfera naturale non si prestano a osservazioni accurate. In momenti del genere, la riflessione su se stessi diventa troppo facilmente morbosa o ipocondriaca. Fede, pazienza e obbedienza sono le guide che ci devono aiutare a progredire tranquillamente nell’oscurità senza guardare a noi stessi. Lo stesso vale per le consolazioni della quiete contemplativa: una riflessione troppo intensa su di esse si trasforma presto in una sorta di compiacenza narcisistica e deve essere evitata. Anche supponendo che si sia genuinamente passivi sotto l’azione di Dio (e certe persone immaginano facilmente di esserlo mentre non è il caso), la riflessione su se stessi potrebbe proprio essere il genere di attività che pone ostacolo all’azione della grazia. Il «lampo» di oscurità con cui Dio illumina la nostra anima in contemplazione passiva ha questa caratteristica: ci rende indifferenti a noi stessi, alle nostre ambizioni spirituali e al nostro «stato» personale. Se lasciamo che la luce di Dio agisca nel profondo delle nostre anime a modo suo e ci asteniamo da auto ispezioni troppo curiose, cesseremo progressivamente di temere per noi stessi e dimenticheremo questi interrogativi inutili. (MERTON T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo,  Cinisello Balsamo 2005, p. 132).

 

Autore Rupnik Marco Ivan

È prezioso il dono della contemplazione. Il contemplativo riconosce Dio in tutte le cose, lo trova in tutti gli eventi, percepisce come Dio lo guida, lo accarezza, lo salva, lo ama. Ma la contemplazione è una dimensione all’interno della fede. È una vita di conoscenza che abbraccia l’uomo intero, che muove i sentimenti della persona, che orienta la sua volontà e che illumina la sua mente. (M. I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli. Lectio divina su Giuseppe d’Egitto, Lipa 2002, p.54).

 

Autore Guglielmo di Saint-Thierry

OCCHI DELLA CONTEMPLAZIONE – Due sono gli occhi della contemplazione: la ragione e l’amore. E secondo ciò che dice il profeta: “Le ricchezze della salvezza: la sapienza e la scienza” l’uno scruta secondo la scienza le cose umane, l’altro, invece, secondo la sapienza le cose divine. Quando poi sono illuminate dalla grazia si aiutano molto a vicenda, poiché, sia da un lato, l’amore vivifica la ragione, sia dall’altro, la ragione rischiara l’amore. (G. DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantico dei Cantici, C. FALCHINI (Ed), Magnano 1991, p. 102).

 

Autore Guglielmo di Saint-Thierry

Vedi Ragione

 

Autore Merton Thomas

EQUILIBRIO PSICHICO E CONTEMPLAZIONE – Nessuno può applicarsi completamente e seriamente alla contemplazione, se non è mentalmente e spiritualmente preparato. La vita contemplativa è una vita di conflitto interiore intenso. La pace che porta è una pace che segue la guerra e sussiste abbastanza spesso nel mezzo della guerra. È meglio che chiunque è diviso dentro di sé, ed è in guerra contro di sé, cerchi di rimettersi insieme prima di disporsi a conquistare questo regno della meditazione ascetica e della preghiera contemplativa. Altrimenti la divisione già presente in lui lo lacererà facilmente. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 183).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE E NEVROSI – È da rilevare una saggezza simbolica profonda nelle interpretazioni patristiche della storia della caduta in Genesi. Infatti questo è l’albero proibito: l’albero dell’io, che cresce nel mezzo del Paradiso, ma che noi non dovremmo vedere o notare. Tutti gli altri alberi sono lì, e ci ristorano con i loro frutti. Di essi possiamo avere conoscenza, ed essi sono lì perché ne possiamo gustare per l’amore di Dio. Ma se prendiamo coscienza di noi stessi, se ci ripieghiamo troppo su noi stessi e cerchiamo di riposarci in noi stessi, allora cogliamo il frutto che ci era proibito: diventiamo «come dèi che conoscono il bene e il male», perché scopriamo la divisione dentro di noi e nello stesso tempo siamo tagliati fuori dalla realtà esterna. La «nullità» dentro di noi – che è nel contempo il luogo dove la nostra libertà si manifesta – è segretamente ricolma della presenza e della luce di Dio nella misura in cui i nostri occhi non sono su di noi. E allora la nostra libertà è unita alla libertà di Dio stesso. Nulla può impedire la gioia e la creatività dei nostri atti d’amore. Ma quando guardiamo alla sorgente di libertà dentro di noi, diventiamo troppo coscienti di essa, la esaminiamo e l’assoggettiamo a un controllo pianificato e cosciente, allora la presenza e la forza di Dio si ritirano (perché Dio non vuole essere visto all’opera) e ci ritroviamo con la nostra nullità. In quel preciso istante, perdiamo la nostra libertà e diventiamo prigionieri dell’ansia.

Questo vale soprattutto per la vita di contemplazione; il nevrotico non riesce a sfruttare, se non in modo autocosciente, le sue opportunità di «esperienza» spirituale. Egli è spinto a questo per calmare la sua ansia e giustificare il suo ritiro dalla realtà come fatto religioso. In realtà, la sua contemplazione è una menzogna, un atto di idolatria, e costituisce una parte della sua religione privata. Nel caso di uomini del genere, la solitudine e la libertà della vita contemplativa conducono solo alla rovina. Essi non sono capaci di solitudine perché non sono sufficientemente forti nell’amore. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 185-186).

 

Autore Merton Thomas

EQUILIBRIO CONTEMPLATIVO – Nella contemplazione autentica solitamente si comincia con intuizioni quiete e distaccate, pace sobria, silenzio interiore. C’è poca o nessuna preoccupazione per il proprio io. Se ci si scopre a riflettere troppo su di sé, istintivamente si spezza il raccoglimento falso dedicandosi a un libro, a un’immagine o a qualche realtà esteriore, o, interiormente, a qualche pensiero oggettivo. Anche il contemplativo, in un giorno negativo, può cadere nell’intontimento. Ma esso prende la forma di pesantezza e di sonno. Il suo raccoglimento più profondo non assomiglia alla trance, ma è qualcosa di pulito e vigile, e non c’è nulla di forzato o di patologico in esso.

La contemplazione autentica non comporta tensione. Non c’è alcuna ragione per cui debba intaccare i nervi: al contrario rilassa. Essa ti lascia riposato e fresco in tutto il tuo essere (ad eccezione forse del caso in cui tu sia esausto fisicamente a causa di una malattia o qualcos’altro). Non c’è tensione nella contemplazione vera, perché quando il regalo è autentico, tu non dipendi da esso, non sei schiavizzato dal «bisogno» di sperimentare qualcosa. Il contemplativo non cerca rassicurazione in se stesso, nella sua virtù, nella sua condizione, nella sua preghiera. La sua fede è in Dio, non in se stesso. La pace e il riposo della contemplazione è frutto di una fede viva nell’azione della grazia divina. Il contemplativo è capace di staccarsi da se stesso e da tutto il resto, sapendo che tutto ciò che conta nella sua vita è nelle mani di Dio e che non deve «preoccuparsi per il domani». (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 187).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE/QUIETISMO – Il contemplativo svuota se stesso di ogni amore creato per essere riempito dell’amore di Dio solo, e spoglia la propria mente di tutte le immagini e i fantasmi creati per poter ricevere la pura e semplice luce di Dio direttamente nella parte più alta dell’anima. Il quietista, invece, ricercando un falso ideale di «annichilazione» della sua anima, cerca di svuotare se stesso di ogni amore e ogni conoscenza e di rimanere inerte in una sorta di vuoto spirituale in cui non c’è mozione, non c’è pensiero, non c’è apprensione, non c’è atto d’amore, non c’è ricettività passiva, ma solo vuoto senza luce o calore o traccia di vita interiore. E in questo modo il quietista immagina di essere mosso passivamente da Dio.

La contemplazione cristiana è la perfezione dell’amore, mentre il quietismo è esclusione di ogni amore. Di fatto è la quintessenza dell’egoismo, perché il quietista rinchiude se stesso nel proprio guscio e si conserva in un torpore per poter tener lontane tutte le realtà dolorose della vita che invece Cristo vorrebbe che noi affrontassimo con fede e abbandono. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 170).

 

Autore Merton Thomas

OSTACOLI ALLA CONTEMPLAZIONE – Il grande ostacolo della contemplazione è costituito dalla rigidità e dal pregiudizio. Chi ritiene anticipatamente di sapere di cosa si tratta si pone nella condizione di non scoprire la vera natura della contemplazione, dal momento che non è capace di «cambiare la testa» e di accettare qualcosa di completamente nuovo.

E siccome la maggior parte di noi è rigida, attaccata alle proprie idee, convinta della propria saggezza, fiera delle proprie capacità e dedita all’ambizione personale, la contemplazione è un desiderio pericoloso per ciascuno di noi. Ma se vogliamo veramente essere liberi da questi peccati, il desiderio di libertà contemplativa e di esperienza di realtà trascendente verosimilmente sorgerà in noi da solo, inosservato. E verosimilmente sarà anche soddisfatto nella maggior parte dei casi prima che noi ne abbiamo coscienza. Questo è il modo in cui si realizza un’autentica vocazione contemplativa. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 193).

 

Autore Merton Thomas

CONOSCENZA APOFATICA – L’esperienza contemplativa è qualcosa di molto reale, ma sfuggevole e difficile da definire. È una conoscenza di colui che è al di là di ogni conoscenza. E quindi, essa lo conosce in quanto non-conosciuto. Lo conosce «mediante il non-conoscere».

Questa conoscenza oscura, questa comprensione apofatica di colui che è, non può essere spiegata in modo soddisfacente a chi non ha sperimentato qualcosa del genere nella sua esperienza interiore personale. Però coloro che hanno provato queste cose riconoscono facilmente l’esperienza degli altri. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 190).

 

Autore Merton Thomas

ETICA E CONTEMPLAZIONE – La contemplazione non dovrebbe essere esagerata, distorta e fatta apparire grande. Essa è sostanzialmente semplice e umile. Nessuno può entrare in essa se non per il sentiero dell’oscurità e della dimenticanza di sé. Essa comporta anche molta disciplina, ma soprattutto la disciplina normale della virtù quotidiana. Essa comporta giustizia nei confronti degli altri, sincerità, lavoro duro, disinteresse, devozione ai doveri del proprio stato di vita, obbedienza, carità, sacrificio di sé. Nessuno dovrebbe illudere se stesso con aspirazioni contemplative se non è disposto a sottostare, prima di tutto, agli impegni e agli obblighi ordinari della vita morale. La contemplazione non è una sorta di scorciatoia magica e facile verso la felicità e la perfezione. E poi, siccome ci pone in contatto con Dio in un rapporto io-tu di amicizia sperimentata misteriosamente, essa apporta necessariamente quella pace che Cristo ha promesso e che «il mondo non può dare». Ci può essere molta desolazione e sofferenza nello spirito del contemplativo, ma c’è sempre più gioia che dispiacere, più sicurezza che dubbio, più pace che desolazione. Il contemplativo è uno che ha trovato ciò che ogni uomo cerca in uno modo o nell’altro. (MERTON THOMAS, L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 190-192).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE PASSIVA – Il grande paradosso della via illuminativa, quando la vita mistica comincia e i  progressi diventano seri, è che dà l’impressione sconcertante di un collasso di tutta la vita spirituale e che il progresso sia finito. Improvvisamente sembra di andare indietro. E la ragione di ciò è che la vita spirituale non è più il risultato dei nostri sforzi personali, barcollanti, limitati, coscienti, quanto piuttosto il prodotto dell’azione profonda di Dio in noi, e nella maggior parte dei casi malgrado noi.

Quando la contemplazione passiva inizia, c’è un preciso senso di lotta e di opposizione: è la battaglia di Giacobbe con l’angelo, dell’uomo interiore con l’uomo esteriore, è la battaglia con Dio da parte dell’anima caduta (Gen 32, 24-29). (Merton T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 158).

 

Autore Merton Thomas

COMBATTIMENTO SPIRITUALE – Quando la contemplazione passiva inizia, c’è un preciso senso di lotta e di opposizione: è la battaglia di Giacobbe con l’angelo, dell’uomo interiore con l’uomo esteriore, è la battaglia con Dio da parte dell’anima caduta (Gen 32, 24-29).

La lotta è con «l’uomo» ma è anche con Dio, perché è la lotta del nostro io esteriore con l’io interiore, l’«agente» che è l’immagine di Dio nella nostra anima e che sembra a prima vista completamente opposto all’unico io che conosciamo. È la battaglia del nostro vigore, che dimora nell’io esteriore, con il vigore di Dio, che è la vita e la condizione reale del nostro io interiore. E nella battaglia, che si svolge nell’oscurità della notte, l’angelo, l’io interiore, ferisce un nervo della nostra coscia per cui zoppichiamo. Le nostre forze naturali sono ridotte e azzoppate. Siamo umiliati e resi ignoranti. Ci rendiamo conto di essere diventati ridicoli e che, anche nei lavori in cui riusciamo, zoppichiamo e siamo indeboliti. Ma succede anche che, pur essendo trascinati al male, non abbiamo più la forza di seguirlo velocemente. Abbiamo però nei confronti del nostro antagonista una forza che, pur non mettendoci in condizione di sopraffarlo, ci permette di non lasciarlo andare finché non ci ha benedetti. Questo potere è qualcosa più della nostra forza; è la forza dell’amore, e viene segretamente dall’interno, dallo stesso antagonista. È la sua stessa forza con cui si augura di essere trattenuto da noi. È la forza con cui egli è «preso e tenuto stretto», secondo La nube della non conoscenza. Ci rende «forti contro Dio» e merita per noi un nome nuovo, Israele, che significa «Colui che vede Dio». E questo nome nuovo è quanto fa di noi dei contemplativi, è un nuovo essere e una nuova capacità di esperienza. E quando chiediamo il nome del nostro antagonista, non possiamo conoscerlo, perché anche il nostro io più profondo è sconosciuto, proprio come Dio stesso è sconosciuto. (Merton T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 159).

 

Autore Balthasar H. U.

AZIONE E CONTEMPLAZIONE – L’antica impostazione della coppia di concetti e del loro rapporto intrinseco implica una valutazione che rende molto difficile trattare con questi concetti. La valutazione sta espressamente nella sovraordinazione della contemplazione all’azione, il che significa la sovraordinazione delle occupazioni puramente mentali, che considerano e ricercano il vero per se stesso, a quelle di necessità vitale, che pongono l’energia spirituale dell’uomo al servizio di quanto è materiale; sovraordinazione dell’attività orientata verso la verità propria, poggiante su se stessa, agli altri sforzi e sollecitudini, tesi verso il bene comune o verso il tu. Questa valutazione si pone in una luce pericolosamente ambigua. Infatti si sottolinea l’elevato finalismo a se stesso, che caratterizza lo spirito, in contrasto con la fatica che asservisce lo spirito. E ancora superiorità dell’intimo e personale sopra l’esterno e sociale, dell’actio immanens sull’actio transiens, degli atti orientati verso ciò che trascende l’uomo.

La formula fondamentale “contemplazione al di sopra dell’azione” perde la sua rettilineità anzitutto in funzione del nuovo ideale dell’ordine promosso dai mendicanti., che trapassano all’azione dalla pienezza della contemplazione e senza sacrificarla. Mentre nei Padri la vita attiva e la contemplativa erano state distribuite quasi tra lo stato secolare e lo stato religioso, Tommaso mostra che alla vita attiva appartiene anche la più alta forma della missione cristiana, l’apostolato, e che l’apostolo ha bisogno dei consigli proprio per la perfezione della sua attività.

Il tempo della contemplazione da parte di Cristo sulla terra non è proprio il periodo preparatorio a quello della sua azione? E il tempo della sua visione del Padre non è appunto quello che predispone il momento più sublime, decisivo per la redenzione del mondo, il momento del non vedere nel Grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” tanto che questa privazione può essere considerata persino come il compimento della contemplazione terrena del Figlio.

La contemplazione non è per nulla una recezione puramente passiva, ma è un atto misto di actio e di passio, e, sotto un altro riguardo è la più alta attività dello spirito creato. Tommaso riconosce che dove la creatura più riceve da Dio, partecipa anche maggiormente della sua attuosità, cosicché con la forza della contemplazione, va crescendo anche quella dell’azione, anzi l’atto più elevato dello spirito, l’intuizione intellettiva, viene sempre descritto come operatio, sebbene sia un accogliere, un assumere l’oggetto assoluto. Quella distinzione tra i due tipi di vita è senz’altro solo umana e caratteristica della vita umana di quaggiù, e pertanto rimane una distinzione del tutto transitoria. La tensione si manifesta soltanto dove, per cagione del peccato, il fattore dell’attività è divenuto un ostacolo, un offuscamento per l’attitudine contemplativa. Nel santo che ha superato il motivo di questo intorbidimento, dovrebbe essere ripristinata, almeno per approssimiazione, quell’unità che riflette nella creatura incorrotta il disegno del Creatore.

L’intero complesso dei problemi che si aggirano intorno alla natura teoretico-pratica della verità dovrebbe orientare nella stessa direzione. La verità, l’elemento contemplativo e ricevuto, è al tempo medesimo attiva sotto un duplice aspetto: anzitutto come l’atto immanente dello spirito tanto nella discorsività quanto nella visione intellettiva, ma poi un intelletto senza volontà è impensabile, in quanto la verità esige di essere fatta del pari che essere contemplata. Questo è il vero senso del carattere esistenziale della verità, che si possiede realmente solo quando la si fa. La contemplazione è il presupposto di una vera azione, l’azione è la condizione previa indispensabile di una contemplazione autentica.

Ma interroghiamo la rivelazione. Al primo posto si pone l’esempio di Cristo, che nella sua vita mostra un rapporto molteplicemente intricato tra azione e contemplazione. L’anima di Cristo è sempre occupata nel contemplare il Padre e nel compiere la missione affidata dal Padre: “Il Figlio nulla può fare, che non veda fare dal Padre”. Che un’unica testimonianza sia al tempo stesso attestazione duplice, esprime l’unità tra azione e contemplazione fondantesi nella realtà trinitaria; per questo si tratta di espressione della più alta vitalità. Una vitalità divina che nel suo tradursi nella vita di Cristo, non si può rappresentare altrimenti che in un reciproco distacco dei due poli, nella vicenda del tempo. È l’unità perfetta del fare e del lasciare accadere, dell’essere generato e del consenso e dell’accoglimento perfetto di quest’atto generativo del Padre. Non è conveniente assegnare, come fa Tommaso, l’amore per Dio alla contemplazione, quello per il prossimo all’azione e sovraordinare quella a questa. Le indiscernibili azioni e contemplazioni di Cristo sboccano nella sola passione, che come termine e fine concreto della sua esistenza terrena, era al tempo stesso il traguardo della sua azione e contemplazione: la passione come fine immanente della sua azione, in quanto il culmine supremo del suo agire è attinto nel dono e nel sacrificio volontario della sua vita. La passione è il termine della sua contemplazione, in quanto quest’ultima era il consenso al compiersi del volere del Padre.

L’atteggiamento di Cristo è modello per il cristiano che non accoglie la misura altrove che da Lui. In Maria è sottolineata la contemplazione, perché coopera col consentire all’evento di compiersi in lei . Inoltre come donna e come ausiliatrice, completa l’opera del Figlio nella virilità di Lui: durante il periodo della sua contemplazione, per renderla possibile, ella è prevalentemente attiva; durante il tempo della sua azione è in prevalenza contemplativa. Solo nella passione la sua ora coincide in pieno con quella del Figlio. La sua risposta al Verbo fu disponibilità e prontezza a lasciarsi dilatare e distendere da Dio, in modo sempre rinnovato e senza posa, per ricevere il Verbo. Se la vita cristiana conoscerà sempre un ritmo di avvicendamento tra periodi di azione e tempi dedicati alla contemplazione, tuttavia l’ideale da perseguire sarà la compenetrazione sempre più profonda tra azione e contemplazione.

Il motivo per cui nella Patristica e nella Scolastica la dottrina sull’azione e sulla contemplazione non poté giungere ancora a uno sviluppo completo in senso cristiano, sta nel fatto che non venne riconosciuta la vera fecondità della contemplazione, a causa di un appoggio troppo accentuato sulla concezione individualistica che ne avevano avuta i filosofi greci. L’idea che la perfezione autosufficiente in senso cristiano può sussistere solo quando è una vita ecclesialmente fruttuosa, irradiante e apostolica, si fa strada ed emerge in periodo stupefacentemente ritardato nella storia della spiritualità. In quanto il contemplativo rinuncia alla visione dei frutti , la sua azione sarà più ampia; il puro contemplativo ha rinunciato totalmente non solo a ogni possesso privato materiale, ma pure a ogni proprietà spirituale. La fecondità per la contemplazione pura rimanda alla vera e unica sorgente d’ogni fecondità: l’amore. (H. U. von Balthasar, Verbum caro. Saggi teologici I, Morcelliana, Brescia 1975, PP. 248-261).

 

Autore Merton Thomas

La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte. Essa conosce questa Fonte in modo oscuro, inesplicabile, ma con una certezza che trascende sia la ragione, sia la semplice fede. La contemplazione infatti è un genere di visione spirituale alla quale aspirano, per la loro stessa natura, la ragione e la fede, poiché senza di essa sono destinate a restare sempre incomplete. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 11).

 

Autore Merton Thomas

TOCCO DI DIO – la contemplazione si estende dovunque fino alla conoscenza e persino all’esperienza del Dio trascendente e inesprimibile. Essa. conosce Dio quasi venisse a contatto con Lui. O meglio, Lo conosce come se avesse ricevuto il Suo tocco invisibile […] il tocco di Colui che non ha mani, ma che è pura Realtà ed è la fonte di tutto ciò che è reale! Perciò la contemplazione è dono improvviso di consapevolezza, è un risveglio al Reale entro tutto ciò che è reale. È un prender viva coscienza dell’Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato. Una consapevolezza della nostra realtà contingente come ricevuta, come dono di Dio, come un gratuito dono d’amore. Proprio questo è quel contatto vitale di cui parliamo quando usiamo la metafora «toccato da Dio».(MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 12).

 

Autore Merton Thomas

ECO – La contemplazione è pure risposta a un appello: un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo Sue parole. Siamo parole intese a corrisponderGli, a risponderGli, ad echeggiarLo e anche, in un certo modo, a contenerLo e a manifestarLo. La contemplazione è questa eco. È una profonda risonanza nel nucleo più intimo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente. Egli risponde a Se stesso in noi, e questa risposta è vita divina, è potenza creatrice divina che rinnova ogni cosa. E noi diventiamo Sua eco, Sua risposta. È come se, creandoci, Dio avesse posto una domanda; e, ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l’anima contemplativa è al tempo stesso domanda e risposta. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 12-13).

 

Autore Merton Thomas

VISIONE E CONOSCENZA – La contemplazione non è visione, perché vede «senza vedere» e conosce «senza conoscere». È fede che penetra più in profondità, conoscenza troppo profonda per poter essere afferrata in immagini, in parole, o anche in concetti chiari. Essa può venire suggerita da parole, da simboli; ma nel momento stesso in cui tenta di descrivere ciò che conosce, la mente contemplativa ritratta ciò che ha detto e nega ciò che ha affermato. Perché nella contemplazione noi conosciamo, per mezzo della «non conoscenza», o meglio conosciamo al di là di ogni conoscenza o «non conoscenza». […]..La contemplazione va sempre oltre la nostra conoscenza, i nostri lumi, oltre ogni sistema, ogni spiegazione, ogni discorso, ogni dialogo, oltre il nostro stesso essere. Per entrare nel regno della contemplazione è necessario, in un certo senso, morire; ma questa morte è, in realtà, l’accesso a una vita più alta. E un morire per vivere; un morire che lascia dietro di sé tutto ciò che conosciamo e che teniamo in gran conto, come il vivere, il pensare, l’esperimentare, il gioire, l’essere.

E così la contemplazione sembra soppiantare e scartare ogni altra forma di intuizione e di esperienza, sia nell’arte, sia nella filosofia, nella teologia, nella liturgia, sia anche nella fede e nell’amore a livello ordinario. Questo ripudio, però, non è che apparente. La contemplazione è e dev’essere compatibile con tutte queste cose poiché ne è il compimento più alto. Ma, nell’esperienza effettiva della contemplazione, tutte le altre esperienze vengono momentaneamente perdute. Esse «muoiono», per rinascere ad un livello di vita più elevato. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Ed), Ed. Garzanti, 1991, pp. 11-12).

 

Autore Merton Thomas

ILLUMINAZIONE – La contemplazione è qualcosa di più che una semplice considerazione di verità astratte che riguardano Dio, è qualcosa di più della meditazione affettiva sulle cose che crediamo. È un risveglio, un’illuminazione, è comprensione meravigliosamente intuitiva, per mezzo della quale l’amore acquista la certezza dell’intervento creativo e dinamico di Dio nella nostra vita quotidiana. La contemplazione quindi non «scopre» soltanto un’idea chiara di Dio, per confinarlo entro i limiti di questa idea e trattenervelo come un prigioniero al quale essa può sempre tornare. Al contrario, la contemplazione è da Dio trasportata nel Suo regno, nel Suo mistero, nella Sua libertà. È una conoscenza pura, verginale, povera di concetti, più povera ancora di ragionamenti ma capace, proprio in virtù della sua povertà e della sua purezza, di seguire il Verbo «ovunque Egli vada». (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 14).

 

Autore Merton Thomas

CONSAPEVOLEZZA DI SE’ – Vi è opposizione irriducibile tra l’«io» profondo, trascendente che si ridesta solo nella contemplazione e l«io» superficiale, esteriore, che noi identifichiamo abitualmente con la prima persona singolare. Dobbiamo ricordare che quest’«io» superficiale non è la nostra vera essenza; è semplicemente la nostra individualità e il nostro «io» empirico, ma non è in verità quella persona nascosta e misteriosa in cui noi sussistiamo agli occhi di Dio. L’«io» che opera nel mondo, che pensa a se stesso, che osserva le proprie reazioni, che parla di se stesso, non è il «vero io» che è stato unito a Dio in Cristo. È tutt’al più l’abito, la maschera, il travestimento di quell’io misterioso e sconosciuto che la maggior parte di noi non arriva mai a conoscere veramente se non dopo la morte. La nostra personalità esteriore non è né eterna né spirituale; è ben lungi dall’esserlo. Questo «io» è destinato a sparire come fumo. È del tutto fragile ed evanescente. La contemplazione è precisamente la consapevolezza che questo «io» è in effetti il «non-io»; è il risveglio dell’«io» sconosciuto, che non può essere oggetto di osservazione e di riflessione ed è incapace di commentare se stesso. Quell’«io» sconosciuto non può nemmeno dire «io» con la sicurezza e l’impertinenza dell’altro, perché per natura è nascosto, senza nome, non identificato in quella società dove gli uomini parlano di se stessi e degli altri. In un mondo simile, il vero «io» rimane indefinito ed inespresso, perché ha troppe cose da dire in una volta, nessuna delle quali si riferisce a se stesso. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 16.).

 

Autore Merton Thomas

RELAZIONE PERSONALE – L’anima contemplativa soffre l’angoscia di capire che essa non sa più cosa sia Dio. Potrà, o non potrà, rendersi conto che dopo tutto questo è un gran vantaggio poiché «Dio non è un qualcosa», non è una «cosa». Questa è una delle caratteristiche essenziali dell’esperienza contemplativa. Essa rivela che non vi è un «qualcosa» che possa essere chiamato Dio. Che non vi è «nessuna cosa» che sia Dio, perché Dio non è un «qualcosa» né «una cosa», ma un puro «Chi». Egli è il «Tu» davanti al quale il nostro «io» intimo acquista all’improvviso consapevolezza. Egli è l’«Io sono» al cospetto del Quale, con la nostra voce più personale e inalienabile, noi facciamo eco «io sono».

Ciò non significa che l’uomo non abbia un concetto valido della natura divina. Tuttavia nella contemplazione le nozioni astratte dell’essenza divina non svolgono più un ruolo importante, poiché vengono sostituite da una intuizione concreta che si fonda sull’amore di Dio come persona, oggetto d’amore, non come«natura» o «cosa» che sarebbe oggetto di studio o di desiderio possessivo. ».(MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 20).

 

Autore Merton Thomas

ESODO CONTEMPLATIVO – Uno dei più grandi paradossi della vita mistica è questo: un uomo non può entrare nel più profondo centro di se stesso e da questo centro passare in Dio se non sa uscire completamente da se stesso, vuotarsi, darsi agli altri nella purezza di un amore altruistico.

Così una delle peggiori illusioni della vita mistica è cercare di trovare Dio barricandovi nella vostra anima, escludendo ogni realtà esterna mediante pura concentrazione o forza di volontà, tagliandovi fuori dal mondo e dagli altri uomini con l’imprigionarvi nella vostra mente e chiudervi dentro, come una tartaruga. Fortunatamente quasi tutti gli uomini che tentano una cosa simile non ci riescono. Perché l’auto-ipnotismo è l’opposto esatto della contemplazione. Noi entriamo in possesso di Dio quando Egli pervade tutte le nostre facoltà con la Sua luce e con il Suo fuoco infinito. Noi non Lo «possediamo» fintanto che Egli non prende pieno possesso di noi. Ma questo drogare la vostra mente e questo isolarvi da ogni cosa vivente vi tramortisce. Come può il fuoco impossessarsi di ciò che è congelato?Z

Più mi identifico con Dio, più mi identificherò con gli altri che sono identificati in Lui. Il Suo Amore vivrà in noi tutti. Il Suo Spirito sarà la nostra Unica Vita, la Vita di noi tutti e la Vita di Dio. E noi ci ameremo l’un l’altro e ameremo Dio con lo stesso Amore con cui Egli ama noi e Se stesso. Questo Amore è Dio medesimo. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 56).

 

Autore Merton Thomas

CONTEMPLAZIONE E COMUNIONE – La perfezione ultima della vita contemplativa non è un paradiso di individui separati, ciascuno dei quali gode di una sua intuizione particolare di Dio: è un mare di Amore che scorre attraverso l’Unico Corpo di tutti gli eletti, di tutti gli angeli e i santi, e la loro contemplazione sarebbe incompleta se non fosse condivisa, o se fosse condivisa con meno anime, o con spiriti capaci di minor visione e di minor gioia.

Ed io avrò maggior gioia in cielo e nella contemplazione di Dio se anche voi sarete là a dividerla con me; e quanti più saremo a dividerla, tanto più grande sarà la gioia di tutti perché la contemplazione non è assolutamente perfetta se non è condivisa. Noi non gustiamo infine la piena esultanza della gloria di Dio se non condividiamo questo Suo dono infinito spargendo e trasmettendo gloria per tutti i cieli, vedendo Dio in tutti gli altri, sapendo che Egli è la Vita di noi tutti e che noi siamo Uno Solo in Lui.

Anche sulla terra è la stessa cosa, ma nell’oscurità. Questa unità è qualcosa che possiamo comprendere e godere solo nelle tenebre della fede. Ma anche qui, più siamo soli con Dio più siamo uniti l’uno all’altro, e il silenzio della contemplazione è una società profonda, ricca, infinita, non solo con Dio ma con gli uomini. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 57).

 

Autore Maritain J.

La contemplazione non è riservata soltanto ai certosini, alle clarisse, alle carmelitane. Spesso è il tesoro di persone nascoste ai più, conosciute soltanto da qualcuno: dai loro direttori, da qualche amico. Talvolta questo tesoro resta quasi nascosto dalle anime stesse che lo posseggono, che ne vivono in piena semplicità, senza visioni, senza miracoli, ma con un tal fuoco di amore per Dio e per il prossimo, che il bene scaturisce intorno a loro senza rumore e agitazione.

La nostra epoca deve prendere coscienza di questo, come pure delle vie per le quali, sotto una forma o un’altra, la contemplazione si comunica alla grande moltitudine delle anime che vivono nel mondo. Spesso, senza saperlo, esse ne hanno sete e vi sono chiamate, almeno in modo remoto. Mettere la contemplazione sulle vie del mondo è la grande necessità del nostro tempo in ciò che concerne la vita spirituale.

Conviene notare qui quanto sia importante la testimonianza della missione di S. Teresa di Lisieux. Sarebbe vano cercare un’opposizione tra lei e S. Giovanni della Croce, che da S. Teresa stessa viene denominato “il santo dell’Amore per eccellenza». In sostanza è la stessa spiritualità, ma tutto ha subito una prodigiosa riduzione all’essenziale. Non soltanto sono scomparse tutte le grazie straordinarie alle quali, secondo S. Giovanni della Croce, l’anima non deve aspirare né attaccarsi, ma anche i grandi segni fisici, terribili o splendenti, che – secondo l’esperienza del Santo – manifestavano le tappe che l’anima percorre progredendo nella via unitiva. In S. Teresa di Lisieux appare soltanto l’amore totale, il dono totale, lo spogliamento totale di sé, in una limpidità incredibilmente pura. In verità questa «piccola via» è una grande via, anzi eroica, ma che nasconde rigorosamente la sua grandezza sotto un’assoluta semplicità anch’essa eroica. Questa assoluta semplicità ne fa per eccellenza una via aperta a tutti coloro che aspirano alla perfezione, qualunque sia la loro condizione di vita. E’ proprio questo l’aspetto che ci preme sottolineare.

  1. Teresa di Gesù Bambino ha mostrato che l’anima può tendere alla perfezione della carità per una via che non porta i grandi segni descritti da S. Giovanni della Croce e da S. Teresa d’Avila. Nello stesso tempo – pensiamo – S. Teresa, nel suo Carmelo di Lisieux, preparava profondamente quella diffusione della vita di unione con Dio che il mondo desidera per non perire. (MARITAIN J. – MARITAIN R., La contemplazione sulle vie del mondo, D. DE BROUWER (Ed), Liturgie et Contemplation, Bruges 1959, pp. 76-78).

 

Autore Geltrude di Helfta s.

«RABBUNÌ, CHE IO RIABBIA LA VISTA» In te, o Dio vivente, il mio cuore e la mia carne hanno trasalito (Sal 84, 3), e il mio spirito ha esultato in te, mia vera salvezza (Lc 1, 47). Quando i mi ei occhi potranno vederti, Dio degli dei, mio Dio? Dio del mio cuore, quando mi rallegrerai con la vista della dolcezza del tuo viso? Quando colmerai il desiderio della mia anima con la manifestazione della tua gloria ?

Mio Dio, fra tutte, sei tu la mia eredità,
la mia forza e la mia gloria !
Quando allora, invece dello spirito di tristezza,
mi rivestirai del manto della lode (Is 61, 10),
perché, unita agli angeli,
tutte le mie membra ti offrano un sacrificio d’esultanza (Sal 27, 6) ?
Dio della mia vita, quando entrerò nel tabernacolo della tua gloria,
per cantare a te alla presenza di tutti i santi,
e proclamare con l’anima e col cuore
che la tua misericordia per me è stata magnifica?
Quando i lacci della morte si spezzeranno,
perché l’anima mia possa vederti senza intermediario?…

Chi si sazierà nel contemplare la tua luce ?
Come potrà bastare l’occhio per vederti
e l’orecchio umano per sentirti
nell’ammirazione della gloria del tuo volto ? GELTRUDE DI HELFA S., Gli Esercizi n° 6, SC 127.

 

Autore Nicolas Armelle

IL CUORE A CUORE MISTICO – Al mio risveglio, il mio spirito fu elevato a contemplare, come allo scoperto, la gloria di cui il mio Salvatore godeva nel Cielo con la sua gloriosa Ascensione; io vidi che dal suo divino Cuore usciva una corda d’amore e di carità che venne a legare e a stringere così strettamente il mio, che il Cuore di Gesù e il mio non potevano più separarsi. Io non saprei spiegare l’amore che sentivo in quel momento: non era per niente un amore umano, o che fosse prodotto da me, ma era la carità di Dio stesso che era traboccante in me. Io comunicavo in questo stato, senza pensare a quello che facevo, poiché la mia vista era sempre occupata nel cielo, e continuai così fino alla domenica successiva quando, andando a ricevere la santa comunione, io vidi che quella corda che teneva il mio cuore legato, si ritirava e si stringeva al divino Cuore di Gesù, e tramite questo mezzo univa e avvicinava il suo al mio in un modo che non posso spiegare. E così perdetti la vista del mio Amore nel cielo, per vederlo solo nel santo Sacramento, nel quale ero tutta sprofondata. E pensando dentro di me alla grande grazia che Dio mi aveva fatto mediante i meriti della sua santa Ascensione, mi fu donato di intendere che il mio divino Amore mi aveva trattato come aveva fatto con i suoi santi Apostoli, dai quali si era allontanato come presenza corporea solo per donare loro una maggiore abbondanza di grazie e consolazioni celesti. Dopo di ciò, io ritornai al mio stato di prima, sentendo solo una fiamma santa e divina, che è soltanto il puro Amore del mio Dio che si ama e si compiace in me, e amandosi in tal modo mi distrugge e mi consuma, mi riduce tutta in lui, e fa sì che la mia vita sia più che umana. Il mio Amore mi faceva conoscere che come il pesce non può vivere e sussistere fuori dall’acqua, allo stesso modo io non potevo più vivere un momento fuori da lui; e come il pesce trova sempre l’acqua da qualsiasi parte egli si volga, altrettanto io in qualsiasi posto o modo io possa essere, lo troverò sempre. Ebbi questa vista e questa esperienza per circa un mese, alla fine del quale io persi l’idea e del mare e del pesce per non avere che quella di Dio solo, che si fece sentire come chiuso nel segreto della mia anima, in qualità di guida e consigliere, di modo che in tutto quello si presentava da fare, sia interiormente sia esteriormente, ero invitata a entrare in quella stanza segreta per prendere ordine e consiglio per tutto ciò che avevo da fare o da dire, essendomi lì donata una luce certa e sicura per tutte le cose. (NICOLAS A., Il trionfo dell’amore divino, I, 21, in Semi di contemplazione. Mensile di vita spirituale, n° 144, Gennaio 2013).

 

Autore Stein E. (S. Teresa Benedetta della Croce)

DALLA MEDITAZIONE ALLA C. – Il momento corretto per abbandonare il gradino della meditazione,giunge quando convergono i tre segni della notte scura dei sensi: quando l’anima nella meditazione riflessiva non trova più alcun diletto e nutrimento; quando parimenti è poco inclinata ad occuparsi di altre cose; quando preferisce sostare in completo riposo in Dio,in un’attenzione generale, amorosa. Quest’attenzione amorosa è normalmente frutto di molte precedenti meditazioni, guadagnata con faticose riflessioni su singole conoscenze, divenuta uno stato permanente dopo un lungo esercizio. […]. Nella contemplazione sono unite nell’azione le facoltà spirituali, la memoria, l’intelletto e la volontà.[…]. Quanto più pura, semplice e perfetta, spirituale ed interiore,è la conoscenza generica e lo è quando si effonde in un’anima tutta pura, libera da impressioni estranee e conoscenze frammentarie tanto più è libera, tenera e tanto più può sottrarsi alla percezione. L’anima si trova come in un profondo oblio e vive come fuori dal mondo. La preghiera le sembra proprio breve, anche quando dura per ore. La preghiera breve lascia come effetto  una certa elevazione della mente all’intelligenza celeste ed insieme un’alienazione e un’astrazione da tutte le cose, da tutte le forme e da tutte le immagini. […]. L’attività dell’anima in questo stato consiste meramente nel ricevere. E’ una luce chiara e limpida che si effonde in lei. (STEIN E. S., Scientia Crucis, Dobner C. (Ed), Editrice O.C.D. 2008, pp 75-77).

 

Autore Voillaume René

PREPARAZIONE ALLA C. – C’è un insieme di preparazioni, di cui noi siamo capaci e che sono un avviamento alla contemplazione, nel senso che sono delle preparazioni di norma necessarie perché la contemplazione avvenga. Queste preparazioni non possono pretendere le grazie della contemplazione, e neppure può pretenderle il fatto che l’anima sia in attesa; e tuttavia le grazie della contemplazione sono il prolungamento, la normale continuazione, sebbene misteriosamente gratuita, del nostro cammino all’incontro con Dio in questo mondo. C’è del vero quando si dice che la contemplazione infusa viene rifiutata a un certo numero di anime, a causa della loro impreparazione di fondo a riceverne le grazie. Solamente di rado Dio supplisce con un’azione diretta a ciò che un’anima avrebbe potuto fare con i soli suoi sforzi. Credo che nella predisposizione ultima dell’anima a ricevere quella conoscenza  infusa che è la sapienza, possa essenzialmente riassumersi in una sola parola: la morte a tutto ciò che non è Dio.

Questa predisposizione si pone direttamente sul piano dell’amore. Implica un distacco profondo da ogni cosa creata e, in  modo particolare da sé. Non che una siffatta morte al mondo e a sé sia del tutto in nostro potere, dato che sarà compito proprio delle grazie della contemplazione realizzarle in noi, facendo scendere il fuoco dell’amore, fuoco che consuma nelle profondità della nostra anima dove da soli noi non possiamo fare nulla. Ma questa morte, anche se attualmente non realizzata in noi che in modo imperfetto , deve essere almeno intenzionalmente voluta, desiderata e amata.

E’ dunque nell’ordine della carità che si colloca la predisposizione essenziale alla grazia della contemplazione. Ed è peraltro assolutamente normale, dato che la contemplazione altro non è se non il libero gioco in noi dei doni dello Spirito santo,  il cui sviluppo è correlato a quello della carità. (VOILLAUME RENE’, Pregare per vivere, BACCHIARELLO L. (Ed), San Paolo 2012, pp. 94-95).

 

Autore Voillaume René

AZIONE E CONTEMPLAZIONE – Ci sono due maniere di agire sul mondo. La prima è immediata e riguarda un tempo e un luogo preciso, ed è la nostra maniera: è frutto della nostra intelligenza, della nostra inventiva, della nostra volontà, del lavoro delle nostre mani. E’un bisogno vitale, tutti gli uomini la desiderano e si impegnano a realizzarla, ognuno nella misura delle proprie capacità e del proprio ideale. L’altra maniera di agire sul mondo non si può trovarla se non dopo averla nella rinuncia a ogni azione immediata. Ma una volta trovata, questa maniera di agire non ha limiti né di tempo né di spazio né di profondità né di estensione, e solo essa ci lascia continuamente inappagati, in una crescente ambizione di agire dovunque ci siano degli uomini, nella speranza che una tale azioni si amplifichi e si prolunghi eternamente. Il desiderio così assoluto di un’azione illimitata nel tempo e nello spazio è il segno di una vocazione contemplativa, e non può appagarsi che nella cooperazione all’agire di Dio stesso. Ogni attività esteriore, anche apostolica, lascia allora insoddisfatti. Una siffatta associazione all’attività onnipotente di Cristo non può essere che il frutto dell’amore contemplativo.

Per mantenere salda nella propria vita questa gerarchia di valori, bisogna mantenere lo sguardi interiore della fede fisso sulle realtà che fondano quest’azione e rendono possibile un amore così esclusivo.àà

Tutto è racchiuso nell’amore, è vero, ma ciò che distingue la maniera di amare di un contemplativo è che il suo amore dev’essere capace di ispirargli non solo il coraggio d un’attività immediata e visibile di carità, ma anche il coraggio molto difficile di una fedeltà a un apostolato invisibile, la cui realizzazione suppone un grado di distacco, se non più totale, almeno più profondo, in quanto è distacco dall’azione stessa. (Voillaume René, Pregare per vivere, Bacchiarello L. (Ed), San Paolo 2012, pp. 14-15).

 

Autore Voillaume René

La contemplazione è una conoscenza sperimentale e soprannaturale di Dio, percepito per connaturalità di amore, sotto l’influsso dello Spirito Santo. In senso ampio, invece, sotto questa parola si comprendono anche gli stati di preghiera che preparano o precedono l’atto stesso della contemplazione divina. Ma in sé, nel suo atto essenziale, la contemplazione divina resta fuori dalla portata diretta della nostra anima. È una luce divina di cui soltanto Dio resta, in definitiva, il padrone assoluto. (Voillaume René, Pregare per vivere, Bacchiarello L. (Ed), San Paolo 2012, p. 94).

 

Autore Malaval F.

La contemplazione non è altro che il semplice e amorevole vedere Dio presente con l’aiuto della fede, lo spirito non è occupato da pensieri né da ragionamenti e non perde la libertà di applicarsi a ciò che gli è necessario conoscere e considerare per le necessità della vita […].

Non è vero che la quantità di oggetti che si offrono ai nostri occhi in ogni momento, non ci impedisce mai di vedere la luce? E ciò per due ragioni: una è che senza l’aiuto della luce non sapremmo vedere questi stessi oggetti; l’altra è che la luce non ha parti distinte o figurate che possono fermare i nostri occhi e distoglierli dalle altre cose. Lo stesso dicasi per il vedere Dio: ci aiuta, come una luce suprema, a guardare ogni cosa con purezza e innocenza, e secondo il beneplacito della sua divina Maestà. E siccome d’altronde, il vedere Dio non consiste nè in figure nè in immagini distinte, non ci impedisce di considerare, secondo la nostra necessità, i diversi oggetti che si presentano nel commercio della vita. (MALAVAL FRANCOIS, Pratique facile   pour élever l’âme à la contemplation, in Semi di contemplazione, 2 (2000) p. 1).

 

Autore Guglielmo di Saint-Thierry

Talvolta, Signore, mentre me ne sto come proteso verso di te, con gli occhi chiusi, tu mi metti sulla bocca del cuore qualche cosa, che non mi consentito sapere. Ne sento il sapore, così dolce, così soave, così appagante che, se si esaurisse in me, di nient’altro andrei in cerca. Ma quando io la ricevo, tu non mi concedi di coglierne la natura né con gli occhi del corpo né coi sensi dell’anima né con l’intelligenza della mente; quando la ricevo, voglio trattenerla e rimasticarla, cercando di distinguerne il sapore, ma subito svanisce. Di certo io la deglutisco, qualunque essa sia, nella speranza della vita eterna; ma ruminando a lungo gli effetti benefici della sua azione, io vorrei trasfonderla in tutte le vene e il midollo della mia anima, come un succo vitale, che le renda insipida ogni altra sensazione e che le faccia gustare sempre e soltanto questo; ma essa si affretta a dileguarsi. (GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplazione di Dio, 26).

 

Autore Gregorio di Nissa s.

 

Autore Merton Thomas

MISSIONE E CONTEMPLAZIONE – Quando siamo uniti con Dio nel silenzio e nella tenebra, quando le nostre facoltà si elevano al disopra del livello della loro attività naturale e riposano nella pura, tranquilla ed incomprensibile nube che circonda la presenza di Dio, la nostra preghiera e la grazia che ci viene data tendono per la nostra stessa natura a diffondersi invisibilmente per il Corpo Mistico di Cristo, e noi che dimoriamo invisibilmente assieme nel vincolo dell’Unico Spirito di Dio, ci influenziamo a vicenda più di quanto non possiamo comprendere, mediante la nostra propria unione con Dio, la nostra vitalità spirituale in Lui.
Chi sperimenta anche in grado minimo questa preghiera, che è l’inizio soltanto della contemplazione, e quasi non si rende neppure conto di quel che ha, può fare cose grandissime per le anime altrui semplicemente prestando una tranquilla attenzione alla oscura presenza di Dio, presenza di cui non può sperare di parlare in maniera intelligibile. E se cominciasse a tentare di parlarne o di ragionarne, perderebbe il poco che
ha e non aiuterebbe nessuno, tanto meno se stesso.
Quindi il mezzo migliore per prepararci alla possibile vocazione di partecipare ad altri la contemplazione non è quello di studiare il modo di parlarne e di ragionarne, ma quello di evitare il più possibile discussioni e ragionamento e di ritirarci nel silenzio e nell’umiltà di cuore in cui Dio purifica il nostro amore da ogni imperfezione umana. (MERTON Thomas, Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, pp. 264-265).

 

Autore Merton Thomas

Vedi teologia

 

Autore Rouly Schmith Jeanne

VITA CONTEMPLATIVA -La vita contemplativa è uno stato di vita, un dono, una chiamata di Dio. Non è soltanto una grazia, è uno stato di vita. Se voi non rispondete totalmente a ciò che esige lo stato di vita nel quale siete, non compirete il vostro dovere. Chi è nello stato religioso, deve compiere in sé alla perfezione i voti inerenti al suo stato di vita. Come anche chi è nello stato del matrimonio deve compiere alla perfezione i doveri del suo stato di vita.

Per la prima volta comprendo che lo stato contemplativo è uno stato di vita e che comporta dei doveri inerenti a esso. Le incomprensibili luci che Dio dà e che immergono in una felicità sovrumana, sono delle grazie molto speciali, sono la contemplazione stessa. Lo stato contemplativo, la vita contemplativa è uno stato nel quale Dio pone e per questo talento Egli ci domanderà un conto severo. (ROULY SMITZ JEANNE, Diario spirituale. La felicità di amare Dio, RASPANTI A – MANCUSO M.R. (Edd), p. 53)
Autore Barsotti D.

AZIONE E CONTEMPLAZIONE – Guarda, dunque e fa’ conforme al modello che ti è stato mostrato sul monte (Es 25, 40). […]. Le parole di Dio a Mosè giustificano il primato della contemplazione. […]. L’efficacia dell’uomo è misurata dalla perfezione della contemplazione, perché l’efficacia umana non è creatrice di valori, ma rivelatrice di Dio. L’uomo non potrà eseguire che quello che avrà contemplato: così la contemplazione di Dio realizzerà una presenza di Dio nell’uomo, farà l’uomo simile a lui. Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi, lo dice: contemplando il Verbo siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, conforme all’operazione del Signore. (2 Cor 3,18).
La contemplazione non è dunque soltanto la cosa più alta, non è soltanto il termine, ma è all’inizio di tutto. Invece di presentare la contemplazione come il punto di arrivo, si deve vedere nella contemplazione il punto di partenza. Di fatto è la fede il fondamento della vita cristiana e tutto il progresso di questa vita è condizionato al progresso della fede. (Cfr.: Rm 1, 17). Tutto il cammino dell’anima sarà in dipendenza da una visione sempre più luminosa e pura, perché è da questa che l’azione acquisterà forza ed efficacia. (BARSOTTI DIVO, Meditazione sull’Esodo, Cinisello Balsamo 2008, pp. 204, 210 – 211).

 

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