Autore Rupnik Marco Ivan
Cristo vince la morte lasciandosi inghiottire da essa, ma con ciò la attira all’interno dell’amore trinitario, dove essa è stata annientata da una luce inaccessibile, dall’amore del Padre per il Figlio e per lo Spirito che dà la vita. (M. I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli. Lectio divina su Giuseppe d’Egitto, Lipa 2002, pp. 39-40).
Autore Fenelon F. de la Mothe
Fratelli, qualunque sia l’età, qualunque sia lo stato in cui la morte ci prenda, essa ci sorprende, ci trova sempre nei disegni che suppongono una lunga vita. La vita, data soltanto perché ci prepariamo al termine al quale essa deve condurre, trascorre tutta intera in un profondo oblio di questo fine. Uno vive come se dovesse vivere sempre. Pensa soltanto a lusingare se stesso con ogni sorta di piaceri, quando la morte viene a fermare improvvisamente il corso di queste folli gioie. L’uomo, saggio ai propri occhi ma stolto agli occhi di Dio, si preoccupa in mille modi di accumulare beni di cui la morte sta per spogliarlo. […]
Tutto dovrebbe avvertirci, e tutto ci diverte […]. Dalla nostra nascita, sono come cento mondi nuovi che si sono eretti sulle rovine di quello che ci ha visto nascere […]
Il cristianesimo invece ci insegna con chiarezza e forza ad aspettare la morte come il compimento delle nostre speranze. Eppure misconosciamo questo come se non fossimo mai stati cristiani. « O amabile Salvatore, che dopo averci insegnato a vivere, ti sei degnato di insegnarci a morire, ti supplichiamo, per i dolori della tua morte, di farci sopportare la nostra con umile pazienza, e di cambiare questa pena, imposta a tutto il genere umano, in un sacrificio pieno di gioia e di zelo. Sì, buon Gesù, sia che viviamo sia che moriamo, siamo tuoi (Rm 14, 8). Ma vivendo, lo siamo, purtroppo, con il triste timore di non esserlo più il momento seguente. Invece, morendo, saremo tuoi per sempre, e anche tu sarai tutto nostro, purché l’ultimo respiro della nostra vita sia un sospiro di amore per te. (FENELON F. DE LA MOTHE, Omelia per la festa dell’Assunzione).
Autore Efrem Siro s.
↗ Paradiso
Autore Gragorio Palamas
[…] come la separazione dell’anima dal corpo è morte del corpo, così la separazione di Dio dall’anima è morte dell’anima, poiché quella che è propriamente morte è la morte dell’anima. […]. Questa è propriamente la morte: il sottrarsi dell’anima al giogo della grazia divina e il suo sottoporsi al giogo del peccato. Questa è realmente la morte da fuggire e tremenda per chi ha intelletto. Questa è la morte, più tremenda anche del castigo della geenna, per coloro che hanno buon intendimento. Questa fuggiamola anche noi con tutte le forze: rigettiamo tutto,abbandoniamo tutto, rinunciamo a tutto:relazioni, attività, volontà, tutto quanto trascina via e separa da Dio e produce tale morte. Colui che l’ha temuta e se ne è guardato non temerà l’avvicinarsi della morte della carne, avendo inabitante in sé la vera vita che procura piuttosto ciò che la morte non può portare via, poiché come la morte dell’anima è morte in senso proprio, così anche la vita dell’anima è propriamente vita e vita dell’anima è l’unione con Dio come l’unione del corpo con l’anima. Infatti, come l’anima separata da Dio per la trasgressione del comandamento è morta, così, di nuovo unita a Dio per l’obbedienza al comandamento è rivivificata. […].
E ancora, la vita stessa non è solo vita dell’anima ma anche del corpo poiché rende immortale anche il corpo mediante la risurrezione, riscattandolo non solo dalla mortalità ma anche dalla morte, che mai non cessa, di quel futuro castigo, Essa fa dono anche al corpo di quella vita in cristo, senza pene, senza malattia, senza tristezza e veramente immortale. (GREGORIO PALAMAS, in N. AGIORITA, M. CORINTO (Edd), La Filocalia, Gribaudi 1999, vol I, pp. 9-11).