Intenzione

Autore Ruusbroec G.

PURA INTENZIONE – Chiamiamo pura quell’intenzione che tende solo a Dio e giudica tutte le cose in rapporto a Dio. Respinge e debella la finzione, l’ipocrisia e qualsiasi duplicità.[…] E’ questa che mette l’uomo sempre innanzi a Dio, e lo rende perspicace nell’intelligenza, forte nelle virtù, libero da vane paure, qui e nel giorno del giudizio. Quest’intenzione pura e retta è quell’occhio semplice, al quale allude il Signore, che illumina tutto il corpo, cioè tutta la vita e gli atti dell’uomo, e li preserva immuni dal peccato; è anche una illuminata e interna inclinazione dello spirito e fondamento di tutta la vita spirituale. […] Camminando sul fondo della pura e retta intenzione, incontreremo Dio direttamente e ci fermeremo con Lui in questo fondamento di semplicità; ed ivi possederemo l’eredità che ci è stata promessa da tutta l’eternità. (RUUSBROEC G., Lo splendore delle nozze spirituali, Città Nuova 1992, p.150-151)

 

Autore Guglielmo di Saint-Thierry

SANTA INTENZIONE – E, ormai provata e trovata degna, mentre la grazia l’illumina viene innalzata con gran favore dalle lodi dello Sposo, cioè viene colmata dalla lode dello sposo di degni doni. Per cui continua e dice: Il tuo collo come monili. Il collo della Sposa è la santa intenzione per mezzo della quale tutto il corpo dell’azione è congiunto al proprio capo, che è Cristo. Di questo il nostro stesso capo dice: Se il tuo occhio – cioè l’intenzione dell’azione – è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso. E come i monili son l’ornamento dei colli, così i fregi di una buona intenzione lo sono delle sante virtù. Il collo della Sposa è, in verità come monili perché, mentre è proprio del monile ornare il collo, al contrario è il collo della Sposa che orna tutte le sue virtù; l quali se non dipendessero da una retta intenzione non darebbero prova di avere né la loro bellezza né il loro decoro, e neanche lo stesso nome di virtù. Oppure, l’ornamento del collo della Sposa è l’amore dello Sposo, lontano dal quale ogni intenzione è turpe e perversa. Quando poi l’intenzione si muta in sentimento d’amore, il collo della Sposa diventa come il suo proprio monile. (GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Commento al Cantico dei Cantici, C. FALCHINI (Ed), Magnano 1991, pp. 88-89).

Autore Chardon Louis

RETTA INTENZIONE. 1. La retta intenzione non è altro che una scelta molto distaccata e molto purificata, una franca e liberissima elezione che l’anima fa del beneplacito di Dio, che ella preferisce alle sue affezioni, alle sue passioni, ai suoi desideri, alle sue soddisfazioni e, in breve, alla sua volontà, con una avversione per le creature separate dalla volontà di Dio, per quanto compiute possano essere.

2. Avendo fissato questa massima, quando a Dio piace ritirare le sue consolazioni per versare al loro posto un migliaio di desolazioni, ci si riposa nella sua volontà, tanto adorabile quanto è amabile, con una tranquillità incredibile. […] Poiché si guarda unicamente Dio, ne consegue che non si aspira più alle dolcezze delle consolazioni, ma si vive pacificamente nel Dio delle dolcezze delle consolazioni. Le croci non sono più ricevute come fonte di afflizioni, ma come la presenza del Dio vivo, tanto più intima, penetrante, unificante e trasformante in quanto ha meno contaminazioni e più purezza. […]

3. [A questo punto,] le croci non portano più disperazione. L’effusione delle consolazioni non ferma più l’affezione. Niente distoglie, né altera, né fa vacillare lo spirito il quale, dopo essere morto a tutte le cose e a se stesso con tutte le cose, nasconde la sua vita con Gesù in Dio, per trovare in Lui se stesso e tutte le cose, non in quella diversità e molteplicità che esse hanno nel loro essere particolare e limitato che causa la distrazione, la dissipazione e la dispersione, ma nella semplicità, nella unità e purezza che fa sì che tutto sia unito a Dio come sua stessa causa e forma; ciò rende lo spirito infinitamente lontano, distante e separato da tutto, e molto raccolto e molto intimo in se stesso.

4. Così, si diviene divini e deiformi perché non si ha altra vita se non quella di Dio, della conoscenza e dell’amore di lui; niente è capace di fare violenza allo spirito, né di servire da attrattiva alle potenze, né di eccitare i desideri o dare riposo al cuore elevato, sospeso, rapito e trasformato in questa lontananza, distanza, separazione, solitudine e purezza che la retta intenzione ha come sua vista, esercizio e fine. È in questo modo che si conosce il nulla di tutte le cose e ciò non è tanto una conoscenza di questo annientamento, quanto la completa ignoranza dell’essere, di tutto quello che è creato. Questo “non sapere” si contrae alla luce sovrannaturale purissima che supera tutti i sensi, con i quali non ci può essere legame o misura, al di sopra della stessa ragione, messa alla  fine della sua elevazione. L’anima apprende in questo vuoto di tutto quello che è sensibile e di quello che potrebbe raggiungere la sua ragione, che Dio è tutto e, di conseguenza, che tutto il resto è niente.

LOUIS CHARDON, La croce di Gesù, in Semi di contemplazione 271, p. 1

 

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Novembre, 2024