Gesù Cristo

Autore Merton Thomas

Il Cristo mistico è un corpo o un organismo spirituale la cui vita è carità. (Merton T., L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 56).

 

Autore Barsotti D.

RISORTO – Il Cristo risorgendo da morte, non fa più parte del mondo di quaggiù, non fa parte più del tempo, non è più condizionato né dal tempo né dallo spazio: partecipando della vita divina egli non è più parte in un tutto, ma piuttosto la creazione fa parte di lui. Noi viviamo o piuttosto entriamo in Cristo Gesù E per questo non si può pensare che egli debba ritornare. Che cosa farebbe ritornando in questo mondo? Se ritorna in questo mondo, è ancora condizionato dal tempo e dallo spazio: se fosse qui, non sarebbe in un altro luogo. E invece egli è, ovunque è un’anima che lo ama, non perché egli come uomo è divenuto immenso dell’immensità di Dio, ma perché egli è la presenza.[…] Il Cristo sottratto al tempo e allo spazio, è la presenza, egli è Dio che si dona, egli è la presenza che si fa immanente in ciascuno, come il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre. (BARSOTTI D., Le apparizioni del Risorto, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p.14).

 

Autore Barsotti D.

INVISIBILITA’ DI CRISTO – Il Cristo risorto, proprio perché è risorto è invisibile. Come Dio è invisibile nella sua natura divina, così la natura umana, una volta investita dalla gloria di Dio, partecipa delle proprietà divine e una delle partecipazioni a questa gloria, è precisamente la sua invisibilità. Sant’Ignazio di Antiochia scrive di Gesù “Prima visibile ora invisibile”. Intende dire cioè che come Dio è invisibile, così anche la natura umana assunta dal Verbo, investita dalla gloria della divinità diviene invisibile.[…] noi viviamo una vita di rapporto con Cristo più reale di quella che vivevano gli apostoli quando egli appariva loro. (BARSOTTI D., Le apparizioni del Risorto, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 13).

 

Autore Rupnik Marco Ivan

GESU’ CRISTO GLORIFICATO – Con la sua crocifissione anche lui (Gesù) propone un’immagine di re, solo che questa volta non è incisa su monete d’oro, ma sulla sua carne. Da allora ogni potere è giudicato dalla croce, dove il re dell’universo, creatore e giudice della storia, regna offrendosi. Cristo è il vero capo, il che significa garante della comunione e dell’unità da Lui compiuta, attraverso un servizio non di atti, ma di sacrificio di sé. (M. I. RUPNIK, Cerco i miei fratelli. Lectio divina su Giuseppe d’Egitto, Lipa 2002, p. 34).

 

Autore Malaval F.

UMANITA’ DI GESU – L’umanità di Gesù Cristo è il mezzo più santo e più perfetto per andare a Dio, è lo strumento sovrano della nostra salvezza, è l’arca dell’alleanza dell’antico e del nuovo testamento, è il canale attraverso cui colano tutti i beni che attendiamo. Questa umanità, però, non è il bene sommo, che consiste solo nella vista di Dio. Similmente tutto ciò che questa santissima umanità ha fatto o detto sulla terra, reca la vita e la grazia nelle nostre anime e ci conduce eccellentemente e infallibilmente a Dio; ma quando siamo in Dio, che è ciò a cui aspiriamo considerando la vita o la passione del Salvatore, non bisogna più voltarsi indietro, ritornando alle meditazioni né alle considerazioni discorsive sulla sua vita e sulla sua passione; non bisogna abbandonare il fine per i mezzi. Chi è arrivato in un qualche luogo di riposo dove incontra il termine del suo viaggio e dei suoi desideri, non pensa più con attenzione per quale strada è stato costretto a passare, fosse pure una strada lastricata di marmo e di porfido; egli si rilassa solamente e si riposa con comodo; non è più pellegrino, è arrivato ed è stabile in quel luogo. Se talvolta pensa alla strada, è per ricordarsene, non per tornarvi. Dopo aver meditato tanti anni sull’umanità del Salvatore del mondo, bisogna infine imparare a riposare in Dio, al quale essa ci conduce. Tutte le volte che ci ricordiamo della sua santa umanità, dobbiamo subito ricordarci che essa è inseparabile dalla divinità a cui ci conduce e ci unisce, essendovi unita. Allora questo semplice e santo ricordo ci serve per riprendere Dio e per abbracciarlo con più ardore. […] bisogna rivolgere il pensiero al nostro diletto Gesù Cristo, abbracciandolo come Uomo e come Dio in una sola vista di spirito e con una piccola parola d’amore, senza discorsi o riflessioni. Quando ci crediamo smarriti, egli è quella la strada nella quale dobbiamo sempre rimetterci, che ci riconduce subito a Dio e ci rimette in lui.  […] Questo, però, non è più accompagnato da meditazioni discorsive sulle azioni e sulle sofferenze della santa umanità, la quale non si distingue più dalla divinità: perché queste meditazioni erano dei mezzi per arrivare all’amore, e sono inutili allorquando ci si è arrivati. (Malaval F.,Pratica facile per elevare l’anima alla contemplazione, dial I°).

 

Autore Lubich C.

GESU’ CROCIFISSO E ABBANDONATO – Dimentica tutto, […] anche le cose più sublimi; lasciati dominare da una sola idea, da un solo Dio, che ha da penetrare ogni fibra del tuo essere: da Gesù crocifisso. Conosci la vita dei santi? (Essa) era una sola parola: Gesù crocifisso; […] le piaghe di Cristo, il loro riposo; il sangue di Cristo, il bagno salutare della loro anima; il costato di Cristo, il cofanetto che si riempiva del loro amore. Chiedi a Gesù crocifisso, per il suo straziante grido, la passione della sua passione. […]. Lui deve essere tutto per te. […. ] Ma soprattutto istruisciti in un libro solo […] nel crocifisso Gesù, che fu da tutti abbandonato! Che grida: ‛Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato’? Oh se quel volto divino contratto dallo spasimo, quegli occhi arrossati, ma che (ti) guardano con bontà, dimenticando i peccati miei e tuoi, che l’hanno così ridotto fossero sempre davanti al tuo sguardo! […]. Dimenticare tutto nella vita: ufficio, lavoro, persone, responsabilità, fame, sete, riposo, la propria anima persino […] per non possedere che Lui! Ecco tutto […]. amare come Egli ci ha amati, da provare per noi persino l’abbandono del Padre suo. Ho un solo sposo sulla terra, Gesù abbandonato. Non ho altro Dio fuori di Lui. «Lui m’ha infuso nel cuore una grande passione: E’ Lui crocifisso e abbandonato! Lui che dall’alto della croce mi dice: […] tutto ho fatto tramontare del mio […] tutto! Non son più bello, non più forte; qui non ho più pace; quassù la giustizia è morta; la scienza non si sa; la verità scompare. Resta solo il mio amore, che ha voluto versare per te la mia ricchezza di Dio […]’ Così mi dice e mi chiama a seguirlo […]. E’ lui la mia passione!» (LUBICH C., L’unità e Gesù abbandonato, Città Nuova 2005, pp. 54-55; 61).

 

Autore Lubich C.

AMORE DI GESU’ ABBANDONATO – … Per inesperienza si può pensare a praticare l’amore verso Dio e quello verso il prossimo, così come l’amore reciproco, prevalentemente come un’effusione di sentimenti. Anche il cuore di Gesù ha conosciuto senz’altro palpiti particolari, e lo sappiamo; ma Egli ha manifestato il suo amore soprattutto col sacrificio di sé in croce e nell’abbandono. Gesù abbandonato è il nostro stile d’amore. Egli ci insegna a far tacere pensieri, attaccamenti, a mortificare i sensi, a posporre persino le ispirazioni per potersi ‛fare uno‛ con i prossimi, che vuol dire servirli e amarli.[…] non solo ad abbracciare tutti i dolori che sopravvengono, quale l’incontro con lo sposo amato, atteso, e quindi accolto sempre, subito, con gioia, ma a contemplare in Lui la misura del nostro amore per il prossimo: misura senza misura nel dovere di dare tutto, nel non riservare nulla per se stessi, nemmeno i valori più spirituali, nemmeno i più divini; a imitare Lui, la sua maniera d’amare, nella pratica eroica di tutte le virtù che l’amore contiene. (LUBICH C., L’unità e Gesù abbandonato, Città Nuova 2005, pp. 57-58).

 

Autore Lubich C.

GESU’ ADDOLORATO – «Gesù, così infinitamente addolorato ha bisogno della nostra consolazione. Che cosa manca a Gesù così angosciato? E’ Dio che gli manca. Come darglielo noi? Stando uniti,Lo avremo fra noi e Gesù che nascerà dalla nostra unità, consolerà il nostro Amore crocifisso! Ecco perché dobbiamo crescere la nostra unità in quantità d’amore e di anime! Vogliamo che il re si ingigantisca tra noi! E allora andremo a cercare di ricomporre ogni disunità, tanto più che in ogni anima disunita sentiamo gemere più o meno forte il grido del nostro Gesù». (LUBICH C., L’unità e Gesù abbandonato, Città Nuova 2005, p. 74).

 

Autore Lubich C.

GESU’ FEDELE –  tu … non dimenticare Gesù Abbandonato. Quando nella vita tutto ti scomparisse, ritroverai Lui fedelmente fedele: Lui, il tradito, per consolare tutti i traditi; il fallito, per consolare tutti i falliti; il vuoto per riempire ogni vuoto; il malinconico, che rasserena ogni malinconia; il non amato, che sostituisce – divinamente – ogni amore perduto o non trovato. Amalo nella cella interiore del tuo cuore che è e rimarrà tutta e sempre solo sua. (LUBICH C., L’unità e Gesù abbandonato, Città Nuova 2005, p.77).

 

Autore Teresa di Lisieux s.

ASSETATO D’AMORE – Ecco, dunque, tutto ciò che Gesù esige da noi: non ha bisogno delle nostre opere, ma solamente del nostro amore, perché questo stesso Dio, che dichiara di non aver bisogno di dirci se ha fame, non ha timore di mendicare un po’ d’acqua dalla Samaritana (Gv 4, 7). Aveva sete […] Ma dicendo: «Dammi da bere», il Creatore dell’universo reclamava l’amore della sua povera creatura. Aveva sete d’amore[…] Ah! lo sento più che mai: Gesù è assetato, ma incontra soltanto ingrati e indifferenti tra i discepoli del mondo; quanto ai suoi stessi discepoli trova, ahimè!, pochi cuori che si abbandonino a lui senza riserve, che comprendano tutta la tenerezza del suo Amore infinito. (TERESA DI LISIEUX, Storia di un’anima, Àncora Milano 1993, p. 251-252).

 

Autore Bernardo di Chiaravalle s.

Gesù, ti nascondi per essere cercato con un ardore sempre più grande, per farti trovare con una gioia che, dopo la ricerca, è più viva, per essere trattenuto con maggiore premura. Questa è l’arte che tu, Sapienza divina, usi per giocare con l’universo, tu che sei felice di stare con i figli degli uomini. Donna, perché piangi, chi cerchi? Colui che cerchi è con te, e non lo sai? Possiedi la vera, eterna felicità e piangi? Hai dentro di te quello che cerchi al di fuori. E veramente stai fuori, piangendo vicino a una tomba. (Ma Cristo ti dice:) Il tuo cuore è il mio sepolcro: io non vi riposo morto, ma vivo in eterno. La tua anima è il mio giardino […]. Il tuo pianto, il tuo amore e il tuo desiderio, sono opera mia: tu mi possiedi dentro di te senza saperlo, perciò mi cerchi al di fuori. Allora ti apparirò all’esterno per riportarti nel tuo intimo e farti trovare nell’interno quello che cerchi fuori. (BERNARDO DI CHIARAVALLE, In passione et resurrectione Domini, 15, 38).

 

Autore Giovanni Crisostomo s.

REGALITÀ DI CRISTO – Il paradiso chiuso da migliaia di anni è stato aperto per noi “oggi” dalla croce. Infatti, oggi, Dio vi ha introdotto il ladrone. Compie, in questo, due meraviglie: apre il paradiso e vi fa entrare un ladro. Oggi Dio ci ha reso la nostra antica patria, oggi ci ha ricondotti nella città eterna, oggi ha aperto la sua casa all’intera umanità. “Oggi, dice, sarai con me in paradiso”. Cosa stai dicendo, Signore? Sei crocifisso, inchiodato e prometti il paradiso? “Sì, affinché tu possa imparare quale è la mia potenza sulla croce” […]

Non è risuscitando un morto, né comandando il mare e i venti, né cacciando i demoni, bensì crocifisso, inchiodato, coperto d’insulti, di sputi, di scherzi e di oltraggi, che egli ha potuto cambiare il cattivo destino del ladro, affinché tu vedessi i due aspetti della sua potenza. Scosse tutta la creazione, spezzò le rocce e attirò l’anima del ladro, più dura della pietra. […]..

Sicuramente, nessun re permetterebbe a un ladro o a un altro suo soggetto di sedersi con lui mentre fa il suo ingresso in una città. Questo, invece, Cristo l’ha fatto: quando entra nella sua santa patria, vi introduce un ladro insieme con lui. Facendo questo, non disprezza il paradiso, non lo disonora con la presenza di una ladro; proprio al contrario egli onora il paradiso perché è un onore per il paradiso avere un padrone capace di rendere un ladro degno delle sue delizie. Nello stesso modo, quando egli introduce i pubblicani e le prostitute nel Regno dei cieli, non è per disprezzarlo ma piuttosto per il suo onore, perché gli mostra che il padrone del Regno dei cieli è abbastanza forte per rendere prostitute e pubblicani rispettabili al punto di essere degni di tale onore e di tale dono. (GIOVANNI CRISOSTOMO s., Discorsi sulla Croce e il ladrone,  1, 2 : PG 49, 401).

 

Autore Gregorio di Nissa s.

BUON PASTORE – Dove vai a pascolare, o buon Pastore, tu che porti sulle spalle tutto il gregge? Quell’unica pecorella rappresenta infatti tutta la natura umana che hai preso sulle tue spalle. Mostrami il luogo del riposo, conducimi all’erba buona e nutriente, chiamami per nome, perché io, che sono pecorella, possa ascoltare la tua voce e con essa possa avere la vita eterna: «Mostrami colui che l’anima mia ama» (Ct 1, 6 volg.).

Così infatti ti chiamo, perché il tuo nome è sopra ogni nome e ogni comprensione, e neppure tutto l’universo degli esseri ragionevoli è in grado di pronunziarlo e di comprenderlo. Il tuo nome, dunque, nel quale si mostra la tua bontà, rappresenta l’amore della mia anima verso di te. Come potrei infatti non amare te, quando tu hai tanto amato me? Mi hai amato tanto da dare la tua vita per il gregge del tuo pascolo.

Non si può immaginare un amore più grande di questo. Tu hai pagato la mia salvezza con la tua vita. Fammi sapere, dunque, dove ti trovi (Ct 1, 7), perché io possa trovare questo luogo salutare e riempirmi di celeste nutrimento, poiché chi non mangia di esso, non può entrare nella vita eterna. Fa’ che accorra alla fonte fresca e vi attinga la divina bevanda, quella bevanda che tu offri a chi ha sete. Fa’ che l’attinga come dalla sorgente del tuo costato aperto dalla lancia. Per chi la beve, quest’acqua diventa una sorgente che zampilla per la vita eterna (cfr. Gv 4, 14).

Se tu mi ammetti a questi pascoli, mi farai riposare sicuramente al meriggio, quando, dormendo in pace, riposerò nella luce che è senz’ombra. Davvero il meriggio non ha ombra, quando il sole splende verticalmente. Nel meriggio tu fai riposare coloro che hai nutrito, quando accoglierai con te nelle tue stanze i tuoi figli. Nessuno però è stimato degno di questo riposo meridiano se non è figlio della luce e figlio del giorno.

Colui che si è tenuto ugualmente lontano dalle tenebre della sera e del mattino, cioè dal male con il suo inizio e la sua fine, questi viene posto dal sole di giustizia nel «meriggio», perché in esso possa riposare.

Spiegami dunque come bisogna riposare e pascere, e quale sia la via del riposo «meridiano», perché non avvenga che mi allontani dalla guida della tua mano per l’ignoranza della verità, e mi unisca invece a greggi estranei.

Queste cose dice la sposa dei cantici, tutta sollecita della bellezza che le è venuta da Dio e desiderosa di comprendere in qual modo la felicità le possa durare per sempre. (GREGORIO DI NISSA S., Commento al Cantico dei cantici, Cap. 2; PG 44, 802)

 

Autore Aelredo Di Rielvaulx

INCARNAZIONE DEL VERBO – «Oggi ci è nato un Salvatore, che è Cristo Signore, nella città di Davide» (Lc 2, 11). Questa città è Betlemme ed è là che dobbiamo accorrere, come fecero i pastori appena udito l’annunzio. […].«È questo per voi il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2, 12). Ora ecco che vi dico che dovete amarlo: temete il Signore degli angeli, ma amatelo tenero bambino; temete il Signore della potenza, ma amatelo avvolto in fasce; temete il Re del cielo, ma amatelo deposto in una mangiatoia. […].

È poi una cosa straordinaria essere avvolto in fasce, giacere in una mangiatoia? Non si avvolgono in fasce anche gli altri bambini? Che segno è questo? […]. Molte cose ci sarebbero da dire su questo mistero; ma […] in breve, Betlemme, «casa del pane» è la santa Chiesa, in cui si dispensa il corpo di Cristo, il vero pane. La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Le fasce sono il velo del sacramento. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande e evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria.

Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore; ma prima, per quanto ci è possibile, prepariamoci con la sua grazia a questo incontro, perché ogni giorno e in tutta la nostra vita, «con cuore puro, coscienza retta e fede sincera» (2 Cor 6, 6), possiamo cantare insieme agli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). (ELREDO DI RIEVAULX, Discorso 2 per Natale; PL 195, 226-227).

 

Autore Taulero G.

Vedi Incarnazione

 

Autore Bossuet J. B.

AGNELLO DI DIO – Guardatelo, l’Agnello di Dio, visto in spirito da Isaia quando lo rappresentò come «l’agnello che si lascia tosare», anzi scuoiare, per così dire, e «immolare, senza aprire bocca» (Is 53,7); Geremia lo vedeva, e lo rappresentava nella propria persona, quando disse : «Ero come un agnello mansueto che viene portato al macello» (Ger 11,19). Ecco l’Agnello mansueto, semplice, paziente, senza artificio, senza inganno, che verrà immolato per tutti i peccatori. Già è stato immolato in figura, e si può dire in verità che «è stato ucciso e messo a morte fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13,8).

È stato massacrato in Abele il giusto; quando Abramo volle sacrificare suo figlio, cominciò in figura ciò che si sarebbe compiuto in Gesù Cristo. Vediamo anche adempiersi in lui ciò che cominciarono i fratelli di Giuseppe: Gesù è stato odiato, perseguitato, inseguito e condannato a morte dai suoi fratelli; nella persona di Giuseppe è stato venduto, gettato in una cisterna, cioè consegnato alla morte. È andato con Geremia nel lago profondo, con i fanciulli nella fornace, con Daniele nella fossa dei leoni. È stato lui immolato in Spirito in tutti i sacrifici. Era presente nel sacrificio che Noè offrì uscendo dall’arca, quando vide nell’arcobaleno, il sacramento della pace; era nei sacrifici che i patriarchi offrirono sui monti; in quelli che Mosè e tutta la Legge offrirono nel tabernacolo e in seguito nel Tempio: essendo stato incessantemente immolato in figura, viene ora per essere immolato in verità. (J. B. Bossuet, Meditazioni sui misteri; 24° settimana, 2° meditazione).

 

Autore Guerrico D’Igny b.

INGRESSO MESSIANICO – Colui al quale anela la nostra anima (Is 26,9), « il più bello tra i figli dell’uomo » (Sal 44,3), attira il nostro sguardo sotto due aspetti; sotto l’uno e l’altro lo desideriamo e l’amiamo, perché in entrambi è il Salvatore degli uomini. […].

Se consideriamo allo stesso tempo la processione di oggi e la Passione, vediamo Gesù, da un lato, sublime e glorioso, e dall’altro, umiliato e sofferente. Infatti nella processione riceve gli onori regali, e nella Passione lo vediamo castigato come un malfattore. Nella prima, la gloria e l’onore lo circondano ; nella seconda, «non ha apparenza né bellezza» (Is 53,2). Nella prima, egli è la gioia degli uomini e la gloria del popolo; nella seconda, è «l’infamia degli uomini, e il rifiuto del popolo» (Sal 21,7). Nella prima acclamano: «Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!»; nella seconda urlano che merita la morte e lo deridono perché si è fatto re d’Israele. Nella prima, accorrono da lui coi rami delle palme; nella seconda lo schiaffeggiano in viso con le palme delle mani e gli percuotono il capo con la canna. Nella prima è colmato di elogi; nella seconda è nauseato dalle ingiurie. Nella prima, si disputano per stendere sul suo percorso i propri mantelli, nella seconda lo spogliano dei suoi vestiti. Nella prima lo ricevono a Gerusalemme come re giusto e Salvatore, nella seconda è cacciato fuori da Gerusalemme come un criminale e un impostore. Nella prima è seduto su un’asino, circondato di doni, nella seconda è appeso al legno della croce, lacerato dalle fruste, trafitto di piaghe e abbandonato dai suoi. (BEATO GUERRICO D’IGNY, Discorso sui rami delle palme, SC 202, 188).

 

Autore Clemente d’Alessandria s.

 

BUON PASTORE – Se si vuole, si può apprendere la somma sapienza che c’insegna il santissimo pastore e maestro, l’onnipotente Verbo del Padre, quando servendosi dell’allegoria si proclama pastore delle pecore. E anche pedagogo dei bambini; infatti, rivolgendosi ai pastori d’Israele, descrive la sua giusta e salutare sollecitudine per bocca di Ezechiele: «Fascerò la pecora ferita, curerò quella malata, ricondurrò all’ovile quella smarrita e le pascerò sul mio monte santo» (Ez 34,16)… […]. Sì, o Signore, nutrici coi pascoli della tua giustizia. O maestro, pasci le tue pecore sul tuo santo monte: La Chiesa, che sta in alto, supera le nubi, tocca i cieli. «Sarò loro pastore, dice, e sarò in mezzo a loro» (Ez 34,24). Egli vuole salvare la mia carne rivestendomi della tunica dell’incorruzione.

Tale è il nostro Pedagogo, davvero buono. «Non sono venuto, dice, per essere servito, ma per servire» (Mt 20,28). Perciò nel vangelo è detto che era «stanco» (Gv 4,5) colui che si è affaticato per noi, promettendo anche di «dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Dimostra così di essere lui solo il buon pastore. Generoso e magnifico è colui che giunge al punto di dare la sua vita per noi. Veramente a servizio degli uomini e pieno di bontà, egli che, potendo essere il Signore dell’uomo, volle essere suo fratello. Buono fino al punto di morire per noi! (CLEMENTE D’ALESSANDRIA , Il Pedagogo, 9, 83,  SC 70, p. 258).

 

Autore Origene

GESU’ CRISTO, RE DELL’UNIVERSO – Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in essi abita. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell’anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell’affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l’Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l’iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (2 Cor 6, l4-15).

Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre membra che appartengono alla terra (Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte» (1 Cor 15, 26). Allora Cristo potrà dire anche dentro di noi: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1 Cor 15, 55; Os 13, 14). Fin d’ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell’immortalità del Padre (1 Cor l5, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione. (ORIGÈNE, La preghiera, cap. 25, PG 11, 495-499).

 

Autore Barsotti D.

IL MISTERO DI CRISTO – Il Mistero di Cristo ha il suo coronamento supremo, si realizza nel suo immenso valore, nel dono dello Spirito Santo, perché precisamente nel possesso di questo Spirito ogni uomo è salvo, redento, santificato, fatto uno con Cristo – perché è per lo Spirito che riacquista, come dicono i Padri, la rassomiglianza perduta in Colui che è l’immagine sostanziale del Padre, il Verbo di Dio – perché finalmente nel dono dello Spirito tutti i Misteri della vita di Gesù non sono più avvenimenti passati, ma continuano, si prolungano nel tempo, divengono un solo mistero sempre presente che abbraccia tutta la storia e tutta l’umanità. Il Mistero di Cristo si realizza nella discesa dello Spirito Santo, si fa presente per Lui. […] Come il verbo s’incarnò nel seno di Maria per opera dello Spirito, così per opera del medesimo Spirito Egli continua la sua incarnazione nel seno della Chiesa ed è lo Spirito Santo che fa della Chiesa il corpo stesso di Cristo. E per questo che non si può parlare della Chiesa senza parlare dello Spirito. E’ per questo che pur essendo la Chiesa il Corpo di Cristo, essa nasce il giorno della Pentecoste coll’effusione dello Spirito Santo. L’umanità non ha più da aspettare un’era dello Spirito, perché lo Spirito è già disceso ed ha riempito la terra. Come non sarebbe valsa l’Incarnazione, la Morte, la Resurrezione di Gesù se non fosse stato mandato lo Spirito perché tutto sarebbe ormai passato, remoto; così non sarebbe valsa l’effusione dello Spirito, sarebbe stata sterile, vacua, se non avesse continuato il Mistero di Cristo. (BARSOTTI D., Il mistero cristiano nell’anno liturgico, San Paolo, Balsamo 2004, p.191).

 

Autore Eudes G. s.

Vedi Cuore

 

Autore Merton Thomas

PROPAGATORE DI FUOCO – Come una lente d’ingrandimento concentra i raggi del sole in un piccolo punto ardente di calore che può appiccare il fuoco a una foglia secca o a un pezzo di carta, cosí il mistero di Cristo nel Vangelo concentra i raggi della luce e del fuoco di Dio in un punto che comunica fuoco allo spirito dell’uomo. Per questo Cristo nacque e visse nel mondo, morì, ritornò da morte ed ascese al Padre in cielo: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur. Attraverso la lente della Sua Incarnazione, Egli concentra su di noi i raggi della Sua verità e del suo amore divino perché noi ne sentiamo l’ardore, e tutta l’esperienza mistica è infusa negli uomini per mezzo di Cristo Uomo.

Perché in Cristo, Dio si è fatto Uomo. In Lui, Dio e l’uomo non sono più separati, estranei l’Uno all’altro, ma sono inseparabilmente uno, non confusi ma indivisibili. Quindi in Cristo tutto ciò che è divino e soprannaturale diventa accessibile, sul piano umano, ad ogni nato di donna, ad ogni figlio d’Adamo. Il divino è ora diventato connaturale a noi nell’amore di Cristo; cosicché, se noi Lo accettiamo e siamo uniti a Lui in amicizia, Egli, che è al tempo stesso nostro Dio e nostro fratello, ci dona quella vita divina che ora può essere nostra perché è alla nostra altezza. Diventiamo figli adottivi di Dio, in quanto siamo simili a Cristo e Suoi fratelli. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p.117).

 

Autore Teresa d’Avila s.

Sei re per l’eternità, o mio Dio […]. Quando diciamo nel Credo che «il tuo regno non avrà fine», è raro che il mio cuore non ne provi una gioia tutta particolare. Ti lodo, Signore, ti benedico per sempre! Infine, il tuo regno durerà in eterno. Non tollerare, Maestro mio, che quando ti si rivolge la parola, si creda che sia permesso di farlo solo con le labbra. È […]. chiaro che non si avvicina un principe con la stessa naturalezza che si avrebbe con un paesano, o con delle povere donne come noi, con cui è sempre lecito discorrere senza complimenti.

Nella mia semplicità, non so come parlare a quel divino Re. Ma la sua umiltà è così grande che egli non manca di ascoltarmi e mi permette di avvicinarmi a lui. Non mi respingono neanche i suoi custodi, poiché gli angeli che lo circondano conoscono i gusti del loro Re: sanno che la semplicità di un piccolo pastore, totalmente umile, che direbbe di più se potesse, il Re l’apprezza più di tutti i ragionamenti scelti dei più dotti e dei più sapienti, quando manca loro l’umiltà.

Tuttavia, se il nostro Re è buono, questo non è un buon motivo per noi per essere scortesi. E se fosse anche solamente per ringraziarlo che si degna di sopportare accanto a lui una persona ripugnante come me, è giusto che faccia di tutto per riconoscere la sua nobiltà e la sua grandezza. In verità, basta avvicinarsi a lui per esserne istruite […]. Se, figlie mie, avvicinandovi a lui, riflettete e vi domandate con chi state per parlare, o con chi già state parlando, mille vite come le nostre non basterebbero per concepire quanti riguardi merita un tale Signore, davanti al quale gli angeli tremano, lui che comanda a tutto, che può tutto e per il quale volere è fare. E’ giusto, figlie mie, che ci rallegriamo della grandezza del nostro Sposo, che comprendiamo di chi siamo spose e quindi come deve essere santa la nostra vita. (SANTA TERESA D’AVILA, Il Cammino di perfezione, 22).

 

Autore Teresa d’Avila s.

GESÚ CRISTO RE – Tu sei re, o mio Dio, re eterno ed immenso, e di un Regno che non ti è certo stato dato in prestito. Quando nel Credo si dice che il tuo Regno non avrà mai fine, trasalisco di gioia. O Mio Dio, come far comprenderla maestà con cui ti manifesti e fino a che punto ti mostri, Signore della terra e del cielo, di tutte le terre e di tutti i cieli che potresti creare? Per un Signore come te sarebbero un nulla anche mille e mille mondi, tanta è la maestà di cui l’anima ti vede adorno! Ben chiaro si vede, o Gesù mio, il poco che possono di fronte a te i demoni, tanto che chi ti serve fedelmente può tenere tutto l’inferno sotto i piedi.[…]. Si, vuoi far comprendere quanto sia grande la tua maestà e quanto potente l’Umanità tua sacratissima congiunta alla Divinità. Da ciò si può comprendere quello che avverrà nel giorno del giudizio quando saremo innanzi alla tua Maestà, o eccelso Sovrano e vedremo il tuo sdegno verso i peccatori. Intanto l’anima riconosce la sua miseria e si va radicando in umiltà. Sente confusione e vivo dolore dei suoi peccati e vedendo che malgrado tante sue infedeltà tu, o Dio, continui a dimostrarle amore, non sa cosa fare e si sente tutta distruggere. (TERESA D’AVILA S., Libro della vita, 28, 8-9).

 

Autore Agostino d’Ippona s.

Un medico è venuto in mezzo a noi per restituirci la salute: nostro Signor Gesù Cristo. Ha trovato la cecità nel nostro cuore e ha promesso la luce e cose “che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo”  (1Cor 2,9).
L’umiltà di Gesù Cristo è il rimedio al tuo orgoglio. Non ti burlare di chi ti darà la guarigione; sii umile, tu per il quale Dio si è fatto umile. Infatti, egli sapeva che il rimedio dell’umiltà ti avrebbe guarito, lui che conosce bene la tua malattia e sa come guarirla. Quando non potevi correre dal medico, il medico in persona è venuto da te… Egli viene, vuole soccorrerti, sa ciò che ti serve.
Dio è venuto con l’umiltà perché l’uomo possa giustamente imitarlo; se fosse rimasto sopra di te, come avresti potuto imitarlo? E, senza imitarlo, come potrai essere guarito? E’ venuto con l’umiltà, poiché conosceva la natura della medicina che doveva somministrarti: un po’ amara, certamente, ma salutare. E tu, continui a burlarti di lui, che ti tende la coppa, e gli dici: “Ma che genere di Dio sei, mio Dio? E’ nato, ha sofferto, è stato coperto di sputi, coronato di spine, inchiodato sulla croce!” Anima disgraziata! Vedi l’umiltà del medico e non vedi il cancro del tuo orgoglio, ecco perché non ti piace l’umiltà…
Accade spesso che i malati mentali finiscano per bastonare i loro medici. In questo caso, il medico misericordioso non solo non si arrabbia contro colui che l’ha colpito, ma cerca di curarlo … Il nostro medico, lui, non ha paura di essere ucciso dai malati presi da follia: ha fatto della sua morte un rimedio per loro. Infatti è morto e risuscitato. (AGOSTINO D’IPPONA, Discorso 61, 14-18).

 

Autore Cirillo D’Alessandria s.

INGRESSO MESSIANICO –

Fratelli, oggi celebriamo la venuta del nostro Re, andiamogli incontro, poiché è anche il nostro Dio. […]. Eleviamo a Dio il nostro cuore, non spegniamo lo spirito, accendiamo con gioia le nostre lampade, cambiamo l'”abito” dell’anima. Come fanno i vincitori, prendiamo in mano le palme e come le persone semplici acclamiamolo col popolo. Con i bambini cantiamo col cuore di bimbo: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. […]. Oggi stesso egli entra a Gerusalemme, la croce sta per essere nuovamente preparata, il biglietto d’accusa di Adamo è “staccato”; di nuovo il paradiso si apre, il ladrone vi è introdotto; di nuovo la Chiesa è in festa. […].

Non viene accompagnato dalle potenze invisibili del cielo e da legioni di angeli; non è seduto su un trono sublime ed eccelso, protetto da ali di serafini, un carro di fuoco ed esseri dai molti occhi, non fa tremare tutto con prodigi e al suono di trombe. Viene nascosto nella natura umana. E’ un avvento di bontà, non di giustizia; di perdono, non di vendetta. Appare non nella gloria del Padre, ma nell’umiltà della madre. Il Profeta Zaccaria ci aveva annunciato altrove questo avvento; chiamava tutta la creazione alla gioia […]: “Rallegrati con tutte le tue forze, figlia di Sion!” E’ la stessa parola che l’angelo Gabriele aveva annunciato alla Vergine: “Rallegrati…”, lo stesso messaggio che il Salvatore ha annunciato anche alle donne dopo la resurrezione: “Rallegratevi”. […].

Grida di gioia, figlia di Sion! Ecco il tuo re viene a te, seduto su un asino, un asinello”… Ma cos’è questa storia? Non viene con pompa come tutti gli altri re. Viene nella condizione di servo, sposo pieno di tenerezza, agnello dolcissimo, fresca rugiada sul vello, pecora condotta al macello, agnello innocente trascinato al sacrificio […]. Oggi i figli degli Ebrei corrono a lui, offrendo i loro rami d’ulivo a colui che è misericordioso e nella gioia ricevono con le palme il vincitore della morte. “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. CIRILLO D’ALESSANDRIA S., Omelia 13; PG 77, 1049.

 

Autore Magistero

Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo dell’umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà (13). Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti (14). I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto. Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato. Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo (cfr. Gv 10,36), affermò: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista » (Lc 4,18); ed ancora: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto». (Ad Gentes 3).

 

Autore Giovanni XXIII S.

Gesù, Re degli uomini e dei secoli, accogli l’omaggio di adorazione e lode che noi, fratelli d’adozione, ti rivolgiamo umilmente. Sei “il pane di Dio che dà la vita al mondo” (Gv 6,33), gran sacerdote e vittima al contempo. Sei l’immolato sulla croce per la redenzione del genere umano, e oggi, attraverso le mani dei tuoi ministri, ti offri ogni giorno sugli altari per mettere in ogni cuore il tuo “Regno di vita, di santità e grazia, di giustizia, d’amore e di pace” (Prefazio della festa). Venga il tuo Regno, Re della gloria! (Sal 24) Dall’alto del tuo “trono di grazia” (Eb 4,16), regna nel cuore dei bambini perché conservino senza macchia il giglio immacolato dell’innocenza; regna nel cuore dei giovani perché crescano sani e puri, docili a coloro che ti rappresentano nella famiglia, a scuola, in chiesa. Regna nel focolare domestico perché genitori e figli vivano in armonia  nell’obbedienza alla santissima Legge. Regna sulla nostra patria perché tutti i cittadini, nell’ordine e comprensione fra classi sociali, si sentano figli dello stesso Padre celeste, chiamati a cooperare al bene temporale di tutti, felici di appartenere all’unico corpo mistico di cui il tuo sacramento è simbolo e fonte inesauribile! Regna infine, “Re dei re, Dio degli dei, Signore dei signori” (Ap 19,16; Dt 10,17), su tutte le nazioni della terra e illumina i responsabili di ognuna affinché, ispirandosi al tuo esempio, facciano “progetti di pace e non di sventura” (Ger 29,11). Gesù nell’Eucaristia, fa’ che tutti i popoli ti servano nella piena libertà, coscienti che “servire Dio è regnare”. (GIOVANNI XXIII S. Preghiera in onore del Re eucaristico, Bollettino quotidiano dell’Ufficio Stampa Vaticana, 24/01/1959).

 

Autore Anonimo del XV sec.

GESÙ MAESTRO – Sono io «che insegno all’uomo la sapienza» (Sal 93,10); sono io che concedo ai piccoli una conoscenza più chiara di quella che possa essere impartita dall’uomo. Colui per il quale sono io a parlare, avrà d’un tratto la sapienza e progredirà assai nello spirito. Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni, e poco si preoccupano di quale sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il tempo in cui apparirà il maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la coscienza di ognuno. Allora Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si nascondeva nelle tenebre apparirà in piena chiarezza; allora verrà meno ogni ragionamento fatto di sole parole.

Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti fondamenti della verità eterna; più che se uno avesse studiato a scuola per dieci anni. Sono io che insegno, senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni diverse, senza contrapposizione di argomenti, senza solennità di cattedra. Sono io che insegno a disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è contingente e a cercare l’eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare le offese, a riporre ogni speranza in me, a non desiderare nulla all’infuori di me e ad amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa.

In verità ci fu chi, solo con il profondo amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue parole erano meravigliose. Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che applicandosi a sottili disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per tutti; ad altri rivolgo parole particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di figurazioni simboliche, ad altri rivelo i misteri con grande fulgore. La voce dei libri è una sola, e non plasma tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro interiore, anzi la verità stessa, io che scruto i cuori e comprendo i pensieri e muovo le azioni degli uomini, vado distribuendo a ciascuno secondo che ritengo giusto. (TOMMASO DA KEMPIS, Imitazione di Cristo, Cap XLIII).

 

Autore Epifanio di Salamina s.

INGRESSO MESSIANICO – “Esulta grandemente, figlia di Sion”; giubila, Chiesa di Dio; “Ecco, a te viene il tuo re” (Zc 9,9). Vagli incontro, affrettati a contemplare la sua gloria. Ecco la salvezza del mondo: Dio va verso la croce, e il Desiderato delle nazioni (Ag 2,7) fa il suo ingresso in Sion. Viene la luce; gridiamo insieme con il popolo: “Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Il Signore Dio è apparso a noi che stavamo nelle tenebre e nell’ombra della morte (Lc 1,79). È apparso, risurrezione di coloro che sono caduti, liberazione dei prigionieri, luce dei ciechi, consolazione degli afflitti, riposo dei deboli, fonte per gli assetati, vendicatore dei perseguitati, riscatto di coloro che erano persi, unione di coloro che erano divisi, medico dei malati, salvezza degli smarriti.

Ieri Cristo faceva risorgere Lazzaro dai morti; oggi va incontro alla morte. Ieri toglieva le bende che legavano Lazzaro; oggi tende le mani a coloro che vogliono legarlo. Ieri toglieva quell’uomo dalle tenebre; oggi si addentra nelle tenebre e nell’ombra della morte, per gli uomini. E la Chiesa fa festa. Comincia la festa delle feste, poiché riceve il suo re come sposo, poiché il suo re sta in mezzo a lei. (EPIFANIO DI SALAMINA S. Omelia 1 per la festa delle Palme ; PG 43, 427s).

Autore Eudes G. s.

O Gesù, dopo averti considerato e adorato nello stato della tua vita mortale e sofferente, nelle agonie della tua croce, nelle ombre della morte e nella polvere del tuo sepolcro, adesso desidero contemplarti e adorarti nelle grandezze, luci e delizie della vita gloriosa e beata in cui sei entrato con la tua Risurrezione e che hai in cielo, nel seno e nella gloria di tuo Padre dalla tua Ascensione.
O amabile Gesù, non soltanto sei vivo in te stesso di una vita gloriosa e beata, ma anche in tutti gli angeli e in tutti i santi che sono con te nel cielo. Perché sei tu ad essere vivo in loro, a comunicar loro la tua vita gloriosa e immortale, tu che sei glorioso e beato in loro.
O desiderabilissimo Gesù, so che mi ami infinitamente e che desideri ardentissimamente, per la sollecitudine estrema che hai della tua gloria, di essere perfettamente amato e glorificato in me, e che hai anche un desiderio estremo e infinito di attirarmi a te nel cielo, per vivere in me perfettamente e stabilirvi pienamente il regno della tua gloria e del tuo amore.
«Il Padre ci ha fatto rivivere con Cristo. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli» (Ef 2, 5), di modo che io sono vivo con te in cielo, o mio Gesù; vi ho parte a tutto l’amore, la gloria e le lodi che tu rendi al Padre, tanto da te stesso quanto dai tuoi angeli e dai tuoi santi. O mio Salvatore, che io ti lodi e che io ti ami in terra come in cielo! (GIOVANNI EUDES, La vita e il regno di Gesù, V, 10,  in MAX HUOT DE LONGCHAMP, Quaresima per i fannulloni… alla scuola dei santi 8, Il pozzo di Giacobbe 2013, p. 112).

Autore Guerrico D’Igny b.

INGRESSO A GERUSALEMME – La festa di oggi presenta ai figli dell’uomo due aspetti molto differenti di colui al quale anela la nostra anima (Is 26,9), « il più bello tra i figli dell’uomo » (Sal 45,3). Attira il nostro sguardo sotto due aspetti; sotto l’uno e l’altro lo desideriamo e l’amiamo, perché in entrambi è il Salvatore degli uomini. […].

Se consideriamo allo stesso tempo la processione di oggi e la Passione, vediamo Gesù, da un lato, sublime e glorioso, e dall’altro, umiliato e sofferente. Infatti nella processione riceve gli onori regali, e nella Passione lo vediamo castigato come un malfattore. Nella prima, la gloria e l’onore lo circondano; nella seconda, « non ha apparenza né bellezza » (Is 53,2). Nella prima, è la gioia degli uomini e la gloria del popolo; nella seconda, è « l’infamia degli uomini, e il rifiuto del popolo » (Sal 22,7). Nella prima acclamano: « Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!»; nella seconda urlano che merita la morte e lo deridono perché si è fatto re d’Israele. Nella prima, accorrono da lui coi rami delle palme; nella seconda, lo schiaffeggiano in viso con le palme delle mani, e gli percuotono il capo con la canna. Nella prima, è colmato di elogi; nella seconda è nauseato dalle ingiurie. Nella prima, si disputano per stendere sul suo percorso i propri mantelli; nella seconda, lo spogliano dei suoi vestiti. Nella prima, lo ricevono a Gerusalemme come re giusto e Salvatore; nella seconda, è cacciato fuori da Gerusalemme come un criminale e un impostore. Nella prima, è seduto su un’asino, circondato di doni; nella seconda, è appeso al legno della croce, lacerato dalle fruste, trafitto di piaghe e abbandonato dai suoi. (GUERRICO D’IGNY B., Discorso sui rami delle palme, SC 202, 188).

 

Autore Guyon Jeanne

CRISTO RE – Gesù Cristo regna nei cuori puri, dove non trova più nulla né che gli resista, né che gli spiaccia: il che significa predisporre per noi il suo Regno (Lc 22,29), e renderci partecipi della sua Regalità, così come suo Padre gli aveva preparato il suo Regno, e gli ha comunicato la sua Regalità. Il trono del Re dei Re è fatto dunque di alberi del Libano. È il fondo naturale dell’uomo, che serve da base e da fondamento all’edificio spirituale. È questo fondo imita bene l’altezza e il pregio degli alberi del Libano, perché proviene da Dio stesso ed è fatto a sua immagine e somiglianza. La Sposa del Cantico è offerta come modello di tale augusto trono a tutte le altre Amanti dello Sposo celeste, al fine di muoverle alla ricerca di una simile beatitudine. È lei stessa a descrivere il trono dello Sposo, avendo ricevuto una nuova luce per conoscerlo con maggior penetrazione, nell’unione essenziale, seppure passeggera, di cui ella è stata appena gratificata. (GUYON JEANNE, Commento mistico al Cantico dei Cantici, III, 9).

 

Autore Andrea di Creta s.

DOMENICA DELLE PALME – Venite, saliamo insieme sul Monte degli Ulivi; andiamo incontro a Cristo. Oggi ritorna da Betania e cammina di buon grado verso la sua santa e beata Passione, per portare a compimento il mistero della nostra salvezza. Imitiamo coloro i quali camminano davanti a lui. Non andiamo, come fecero molti, per stendere sul suo cammino rami di ulivo, mantelli o palme. Dobbiamo abbassare noi stessi dinanzi a lui, chinarci per quanto possiamo, con umiltà di cuore e rettitudine di mente per accogliere il Verbo che viene, affinché Dio trovi posto in noi, lui che nessuna cosa può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé. (ANDREA DI CRETA S.,Sant’Andrea di Creta, Omelia per la domenica delle Palme, in HUOT DE LONGCHAMP MAX , Quaresima per i fannulloni alla scuola dei santi 14, Il Pozzo di Giacobbe 2019, p.84).

 

Autore Simeone il nuovo teologo

Vedi Luce

 

Autore Barsotti D.

Cristo ci conduce, ci porta tutti nella luce immutabile e infinita della presenza e noi viviamo perduti in questa luce immensa. L’anima diviene più semplice, diviene sempre più “una” e rimane come posseduta dalla luce. E’ la risurrezione! E’ già superata la morte. Siamo con il Risorto, già ora possediamo la vita, già ora viviamo nel Cristo risorto la vita eterna. […] Egli ti investe fin nelle profonde radici dell’essere. Prima del corpo è posseduta la volontà, l’intelligenza. Il Cristo possiede l’immaginazione, i sentimenti e finalmente il corpo. E’ come un essere sottratti al contatto del mondo esterno. L’essere è come rapito in Dio. (BARSOTTI D., Le apparizioni del Risorto, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 162).

 

Autore Tommaso d’Aquino

INCARNAZIONE – «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1,1-3). Il Verbo fattosi carne si è fatto conoscere agli apostoli in due modi: l’hanno riconosciuto in primo luogo con la vista, come ricevendo dallo stesso Verbo la conoscenza del Verbo stesso, e in secondo luogo con l’udito, ricevendo questa volta dalla testimonianza di Giovanni Battista la conoscenza del Verbo. A proposito del Verbo, Giovanni l’evangelista afferma: «Noi vedemmo la sua gloria»… Per san Giovanni Crisostomo, queste parole si riferiscono alla parola precedente nel vangelo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne». L’evangelista vuole dire: l’incarnazione ci ha conferito non soltanto il beneficio di diventare figli di Dio, ma anche quello di vedere la sua gloria. Infatti, gli occhi deboli e malati non possono guardare la luce del sole: ma quando brilla attraverso una nuvola o un corpo opaco, allora lo possono. Prima dell’incarnazione del Verbo, gli spiriti umani erano incapaci di guardare la luce «che illumina ogni uomo». Perciò, perché non siano privi della gioia di vederlo, la luce stessa, il Verbo di Dio, ha voluto rivestire la carne perché potessimo vederla.

a, gli uomini «si voltarono verso il deserto: ed ecco la gloria del Signore apparve nella nube» (Es 16,10), cioè il Verbo di Dio nella carne… E sant’Agostino nota che, perché possiamo vedere Dio, il Verbo ha guarito gli occhi degli uomini facendo della sua carne un collirio salutare… Ecco perché, subito dopo aver detto: «Il Verbo si fece carne», l’evangelista aggiunge: «E noi vedemmo la sua gloria», come per dire che subito dopo aver applicato il collirio, i nostri occhi sono stati guariti… Questa gloria Mosè desiderava vederla e non ne ha visto che l’ombra e il simbolo. Gli apostoli invece, hanno visto il suo splendore. (, Esposizione su Giovanni, I, 178ss

 

Autore Tommaso d’Aquino

INCARNAZIONE – «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1,1-3). Il Verbo fattosi carne si è fatto conoscere agli apostoli in due modi: l’hanno riconosciuto in primo luogo con la vista, come ricevendo dallo stesso Verbo la conoscenza del Verbo stesso, e in secondo luogo con l’udito, ricevendo questa volta dalla testimonianza di Giovanni Battista la conoscenza del Verbo. A proposito del Verbo, Giovanni l’evangelista afferma: «Noi vedemmo la sua gloria»… Per san Giovanni Crisostomo, queste parole si riferiscono alla parola precedente nel vangelo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne». L’evangelista vuole dire: l’incarnazione ci ha conferito non soltanto il beneficio di diventare figli di Dio, ma anche quello di vedere la sua gloria. Infatti, gli occhi deboli e malati non possono guardare la luce del sole: ma quando brilla attraverso una nuvola o un corpo opaco, allora lo possono. Prima dell’incarnazione del Verbo, gli spiriti umani erano incapaci di guardare la luce «che illumina ogni uomo». Perciò, perché non siano privi della gioia di vederlo, la luce stessa, il Verbo di Dio, ha voluto rivestire la carne perché potessimo vederla.

a, gli uomini «si voltarono verso il deserto: ed ecco la gloria del Signore apparve nella nube» (Es 16,10), cioè il Verbo di Dio nella carne… E sant’Agostino nota che, perché possiamo vedere Dio, il Verbo ha guarito gli occhi degli uomini facendo della sua carne un collirio salutare… Ecco perché, subito dopo aver detto: «Il Verbo si fece carne», l’evangelista aggiunge: «E noi vedemmo la sua gloria», come per dire che subito dopo aver applicato il collirio, i nostri occhi sono stati guariti… Questa gloria Mosè desiderava vederla e non ne ha visto che l’ombra e il simbolo. Gli apostoli invece, hanno visto il suo splendore. (, Esposizione su Giovanni, I, 178ss

 

Autore Tommaso d’Aquino

INCARNAZIONE – «Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1,1-3). Il Verbo fattosi carne si è fatto conoscere agli apostoli in due modi: l’hanno riconosciuto in primo luogo con la vista, come ricevendo dallo stesso Verbo la conoscenza del Verbo stesso, e in secondo luogo con l’udito, ricevendo questa volta dalla testimonianza di Giovanni Battista la conoscenza del Verbo. A proposito del Verbo, Giovanni l’evangelista afferma: «Noi vedemmo la sua gloria»… Per san Giovanni Crisostomo, queste parole si riferiscono alla parola precedente nel vangelo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne». L’evangelista vuole dire: l’incarnazione ci ha conferito non soltanto il beneficio di diventare figli di Dio, ma anche quello di vedere la sua gloria. Infatti, gli occhi deboli e malati non possono guardare la luce del sole: ma quando brilla attraverso una nuvola o un corpo opaco, allora lo possono. Prima dell’incarnazione del Verbo, gli spiriti umani erano incapaci di guardare la luce «che illumina ogni uomo». Perciò, perché non siano privi della gioia di vederlo, la luce stessa, il Verbo di Dio, ha voluto rivestire la carne perché potessimo vederla.

Ma, gli uomini «si voltarono verso il deserto: ed ecco la gloria del Signore apparve nella nube» (Es 16,10), cioè il Verbo di Dio nella carne… E sant’Agostino nota che, perché possiamo vedere Dio, il Verbo ha guarito gli occhi degli uomini facendo della sua carne un collirio salutare… Ecco perché, subito dopo aver detto: «Il Verbo si fece carne», l’evangelista aggiunge: «E noi vedemmo la sua gloria», come per dire che subito dopo aver applicato il collirio, i nostri occhi sono stati guariti… Questa gloria Mosè desiderava vederla e non ne ha visto che l’ombra e il simbolo. Gli apostoli invece, hanno visto il suo splendore. (Esposizione su Giovanni, I, 178ss).

 

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