Cosa è l’unione? (prima parte)

Cosa è “l’unione”? (SEMI n. 239, Settembre 2021, L’anima specchio di Dio)

 

Abbiamo iniziato il nostro catechismo spirituale (Semi n. 221) con la nozione più fondamentale della visione cristiana delle cose, quella dell’unione, intesa come unione a Dio, inglobante la comunione con i fratelli. Con questo concetto inizia il nostro credo: «Credo in un Dio uno»; e questo introduce nella storia del pensiero una categoria assolutamente nuova e originale, l’idea di persona (Semi n. 234), poiché tutta la felicità del cristiano si riassume nell’unione delle persone o se si preferisce nell’amore:

 

La perfezione della vita cristiana è l’unione dell’anima con Dio e tutto quello che riguarda la vita spirituale è ordinato a essa come al suo fine.

José di Jesús-Maria Quiroga (1562-1628), Apologia mistica, cap. 1

 

 

Vorremmo ripartire da questa affermazione centrale della nostra  fede per svilupparla in due direzioni. La prima sarà di fare una descrizione più chiara possibile, dando la parola ai mistici cristiani, distinguendo i mistici dai non mistici non per una santità superiore, ma per una lucidità e una intensità di esperienza particolarmente illuminante. Nei mistici riscontriamo l’unione a Dio sotto diverse espressioni, che in questa esposizione sono equivalenti: unione trasformante in s. Giovanni della Croce, vita sovraessenziale in Ruusbroec e suoi discepoli, stato di perfezione nei latini, matrimonio spirituale in Teresa d’Avila, ecc.

La seconda direzione sarà quella di affermare con i mistici e con tutta la Tradizione che la felicità dell’unione a Dio non è una lontana prospettiva per l’aldilà, ma la sostanza di quello che Cristo ci dona di vivere quaggiù. Con ciò abbiamo dato, a questa unione, la giusta rilevanza nell’esposizione del mistero cristiano e specialmente nell’educazione spirituale, al centro della missione pastorale della Chiesa.

 

 

Come è vissuta l’unione con Dio?

 

Cominciamo con la descrizione che da dell’unione a Dio, un contemporaneo e amico di Tommaso da Kempis, il mistico Gerlac Peters, nel suo Soliloquio infiammato. L’interesse del suo proposito è che egli descrive un’esperienza e non fa teoria su quello che potrebbe essere questa unione. Non si troverà alcuna metafisica in queste righe, ma una testimonianza diretta sulla gioia di essere cristiano, le cui parole possono essere comprese da tutti gli innamorati del mondo:

 

Sotto questa luce, vedo che mi ami straordinariamente, e che se dimoro in te, è anche vero che tu non devi essere inquieto di te, non dovrai essere inquieto di me, quale che sia il tempo, il luogo, o le circostanze. Vedo che doni te stesso interamente a me, per essere interamente mio senza alcuna separazione, a condizione che io sia interamente tuo senza alcuna separazione. Così quando sono interamente tuo, vedo che mi hai amato dall’eternità, tanto quanto amavi te stesso da tutta l’eternità. Questo per te non è altro che godere di te stesso in me; e per me, per tua grazia, godere di te in me, e di me in te. E lì, che ti amo o che mi amo, è la stessa cosa come una lega divenuta una sola e stessa realtà, non potrà mai più essere divisa.

Gerlarc Peters (1378-1411), Soliloquio infiammato, cap. 14

 

 

“Godere di te in me e di me in te”: abbiamo qui il compimento della preghiera di Gesù per i suoi:

 

«Padre, l’amore con cui mi hai amato sia in loro, e loro in noi»; e ancora: «Che tutti siano uno come tu, Padre, sei uno in me, ed io in te; e che anche  essi siano uno in noi!» […] Questo accadrà quando ogni amore, ogni desiderio, ogni applicazione, sforzo, ogni nostro pensiero, tutto quello che viviamo, diciamo, respiriamo, sarà Dio, e questa unità che sussiste adesso tra il Figlio e il Padre sarà stata trasfusa nel nostro senso e nel nostro spirito.

Giovanni Cassiano († verso il 440?), Conferenze I, 5-8 e X, 6-7

 

Se ci fermiamo qui, si potrebbe pensare che questa unione dispensi il suo beneficiario da pesantezze e difficoltà della vita di un comune mortale. In realtà, unita a Dio creatore, l’anima contemplativa è in presa diretta sulla creazione e nello stesso tempo unita al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; Marta e Maria vivono in armonia, ciascuno nel proprio ambito:

 

[Per queste anime,] ciò che è esteriorità non ha importanza, né il modo in cui gli avvenimenti arrivano, che siano favorevoli o sfavorevoli, portatori di speranza o di disperazione, perché nessuno di essi tocca l’anima nella sua somiglianza e conformità superiore. […] Che Marta sia là, ma giù; che s’ inquieti e si agiti per molte cose se necessario, ma Maria si attacchi al solo necessario: si occupi del Verbo eterno, della giustizia, della saggezza, della verità e della pace, perché in un solo e stesso uomo le due vie si dispiegano e giungono alla perfezione in quello che è loro proprio.

Gerlac Peters (1378-1411), Soliloquio infiammato, cap. 18

 

Molto concretamente:

 

Quando l’anima è arrivata a questo stato, le importa molto poco essere nell’imbarazzo degli affari o nel riposo della solitudine: per lei è tutto uguale, perché tutto quello che la tocca, tutto quello che la circonda, che le colpisce i sensi, non le impedisce affatto il godimento dell’amore attuale. Nella conversazione e tra il rumore del mondo, è in solitudine nella stanza dello Sposo, cioè nel suo profondo intimo dove l’accarezza e lo intrattiene senza che niente possa turbare questo divino scambio. Lì non si percepisce alcun rumore, tutto è nel riposo, e non posso dire se l’anima essendo così posseduta, le sarebbe possibile liberarsi da quello che soffre; perché allora sembra che non abbia alcun potere di agire, né di volere, come se non avesse per niente libero arbitrio. […] Ella è come un cielo nel quale gode di Dio, e le sarebbe impossibile esprimere quello che accade dentro: è un concerto e un’armonia che non può essere gustata né compresa se non da quelli che hanno esperienza e ne godono.

Beata Maria dell’Incarnazione (1599-1672), Lettera III, 1627

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