RISUSCITATI? (SEMI n. 224, Aprile 2020, Orazione senza pensarvi)
Questo mese vogliamo sottolineare un errore tanto enorme quanto diffuso nella maggioranza dei cristiani di oggi. Domandate loro di scegliere molto semplicemente tra le due formule seguenti per esprimere il cuore della loro fede: Io sono risuscitato; oppure: Io muoio e in seguito risusciterò (sotto inteso: alla fine dei tempi). Ogni volta, sceglieranno la seconda formula, annullando di fatto le stesse parole di Gesù: Chiunque vive e crede in me non morirà mai (Gv 11,26), questo perché colui che ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato è passato dalla morte alla vita (Gv 5,24). Questa reintroduzione della morte là dove l’opera di Gesù è stata di annientarla -… mortem moriendo destruxit, “morendo, ha distrutto la morte” cantiamo a Pasqua – svuota totalmente il Vangelo di quello che ha di più decisivo, riducendolo pressappoco a quella celebre pagina di Châteaubriand:
Volete contemplare questi monaci vestiti di sacco, che dissodano le loro tombe? Il silenzio cammina al loro fianco, o se parlano quando si incontrano, è per dire soltanto: «Fratello, si deve morire». Il cristianesimo ha tirato dal fondo del sepolcro tutta la morale che racchiude. Ѐ con la morte che la morale è entrata nella vita.
Châteaubriand, Il genio del cristianesimo, cap. 6
Questo desolante errore è così comune che la stessa liturgia, nelle sue traduzioni più ufficiali, arriva a cambiare i testi biblici per affermare che il discepolo di Cristo deve morire, come il pagano, prima di essere salvato. Si dimentica, per esempio, che il Nuovo Testamento non parla mai di morte, parola riservata al pagano, quando ci si riferisce alla fine della vita terrena del cristiano, ma di addormentarsi e spesso di addormentarsi nel Signore, da qui proviene l’uso di chiamare cimitero, dormitorio in greco, il luogo dove sono deposti questi “dormienti”. Ѐ così che, non cogliendo più la differenza, eppure fondamentale, tra le due cose, i nostri lezionari liturgici si sentono obbligati regolarmente ad aggiungere, a questo addormentarsi, nella morte, traducendo così «si addormentò nella morte» alla fine del martirio di santo Stefano (At 7,60) per la sua festa il 26 dicembre, là dove il greco parla soltanto di “addormentarsi”; o ancora traducendo «che siamo addormentati nella morte» (1Ts 5,10), allo stesso modo si fa la stessa aggiunta nel testo biblico della compieta di lunedì, trasformando il riposo in Cristo in funerale! Il controsenso è tanto più flagrante in questo ultimo versetto, che san Paolo sta proprio spiegando ai Tessalonicesi dato che Cristo è morto, perché noi non morissimo!
Non moltiplichiamo gli esempi, ma riconosciamo che la prospettiva, cioè la speranza, è così totalmente differente secondo che si consideri la fine della vita terrena come un tuffo nella morte, o come un addormentarsi nelle braccia di Gesù! E rettifichiamo con santa Teresa del Bambin Gesù:
Non è “la morte” che verrà a prendermi, è il buon Dio! La morte, non è un fantasma, uno spettro orribile, come la si rappresenta nelle immagini. Ѐ detto nel catechismo che «la morte è la separazione dell’anima dal corpo», è soltanto questo!
Teresa del Bambin Gesù (1873-1897), Ultimi colloqui, 1° maggio 1897
Il cristiano è già risuscitato: in che modo ciò cambia tutto?
Se il medico vi dice che siete colpiti da una malattia mortale, anche se cercherà di ritardarne la fine, voi vi vedete in una posizione piuttosto spiacevole; se lo stesso medico vi annuncia, tre mesi dopo, che siete guariti da quella malattia mortale e che dovete soltanto godervi la convalescenza, il vostro stato d’animo sarà molto differente. Ora, questa malattia mortale, è molto semplicemente la vita sulla terra dopo il peccato originale: se tu mangi del frutto, morirai di morte! (Gen 2,17). La fede cristiana pretende proprio che ne siamo guariti dopo il nostro battesimo, e che la morte non è altro che un cattivo ricordo.
Eppure, ci toccherà proprio morire!
Che il cristiano sia risuscitato suscita una facile obiezione: i cristiani non vanno meno nella tomba degli altri! Del resto, per continuare a imbrogliare le carte, al momento di aspergere la bara con l’acqua battesimale, la liturgia dei funerali recita questa nuova negazione della vera speranza cristiana: «Noi crediamo e speriamo che risusciteremo tutti»; questo futuro e questa universalità riduce la fede del battesimo al credere nella risurrezione generale alla fine dei tempi, quella che in realtà è riservata ai pagani. Certo, crediamo anche in questa resurrezione generale e al giudizio ultimo, ma la dichiarazione di Gesù, già citata, si riferisce a ben altro: Colui che ascolta la mia parola – ed è quello che fa il cristiano – non viene giudicato, ma è già passato dalla morte alla vita. (Gv 5,24).
Ma non schiviamo la domanda: come comprendere di essere già passati dalla morte alla vita, ma di dovere tuttavia scendere nella tomba? Il Nuovo Testamento ama le immagini tratte dal mondo vegetale: il piccolo seme che diviene un grande albero, la vite che porta frutto nei suoi tralci, il seme che cade nella terra e produce cento per uno…Ѐ così che bisogna considerare la risurrezione: non un cambiamento istantaneo, ma un processo continuo, cominciato al battesimo e che si concluderà nella Parusia, la quale, ricordiamo, precederà la risurrezione generale e il giudizio ultimo. Non si dice per semplificare che il seme caduto nella terra muore: in realtà si trasforma sotto la spinta di una nuova vita, che porta segretamente le spighe del raccolto futuro. E lungo il corso di questa spinta, tutta la sostanza del primo seme è assunta in quella delle spighe. Quindi, all’inizio della nostra vita cristiana, fu un primo atto di fede a liberare in noi la grazia di Cristo e, man mano che questa fede si sviluppa, questa la grazia ci trasforma in lui; l’ultima fase di questa trasformazione è la risurrezione della nostra carne.