Accoglienza

Autore Rupnik Marco Ivan

In Lc 10 […] l’accoglienza è ancora segnata dalla logica molto precisa di Marta, dal pensiero che lei fosse quella che sapeva come essere ospitale con Cristo, e per questo le dava fastidio che la sorella non facesse così come lei pensava si dovesse fare.

Questo è l’atteggiamento tipico di chi è ancora concentrato su di sé, pur muovendosi dentro un orizzonte del bene e del dovere. Si può avere infatti una mentalità propria, la quale riesce ad accettare Cristo collocandolo all’interno delle proprie coordinate, senza con ciò provocare uno sconvolgimento del sistema. Anzi, in questo modo Cristo può essere  un motivo di giudizio dell’altro, giustificando così il proprio modo di pensare. Pensando a Cristo all’interno di un modo di ragionare preciso, non solo ci si può costituire giudici degli altri in nome di questa presunta accoglienza, ma si può addirittura cominciare a far appello a lui perché venga in soccorso al nostro modo di pensare e di procedere. Si comincia cioè a usare Cristo per sostenere il proprio modo di pensare, a tentare di autogiustificarsi con qualche presunto motivo spirituale – religioso per darci l’illusione di essere sulla strada giusta.

Ma siccome abbiamo visto che questo modo di pensare di Marta era costruito nel modo tipico dell’autodifesa , della’autoaffermazione, per superare l’insufficienza della vita che è conseguenza del peccato, questo significa che si può addirittura giungere ad “accogliere” Cristo per supplire alla propria insufficienza di vita, per supplire alle conseguenze del peccato che sono l’angoscia, la paura per sé, riducendo con ciò Cristo ad una sorta di deus ex machina. Ma così si cerca solo di salvare con Cristo quella corazza che ci si è costruiti per difendere noi stessi e che invece diventa un muro nei confronti del prossimo e di Dio.

Si arriva in questo modo ad usare Cristo, la religione, la fede come sostegno ad una mentalità che è la conseguenza del peccato e che riesce ad illudere di tutelare l’uomo.
Ma un’impostazione del genere si tradisce con l’agitazione, perché non porta mai alla pace, per il semplice fatto che niente, neanche Cristo, può garantire che con questa mentalità e con questa volontà, mosse da una passionalità di autodifesa, di autosalvezza , si giunga veramente alla vita che rimane. (RUPNIK MARCO IVAN, Alla mensa di Betania. La fede, la tomba e l’amicizia, Lipa 2017, pp. 76 – 78).

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