Ogni persona possiede ontologicamente l’attitudine alla preghiera e qualche volta ne ha fatta esperienza. Preghiera genuina, più o meno consapevole di chi riposa, anche per breve tempo, in un evento appagante, riconosciuto e vissuto con stupore, come portatore di senso nella propria esistenza, in unità con se stesso e con Dio, l’Unico capace di ricomporre in unità le dolorose frammentazioni dell’ Io. Non tutti, però, conoscono esattamente cosa sia la preghiera. Alcuni credono che essa consista nel “dire preghiere”, ma questo contrasta con l’imperativo di Gesù’: pregate incessantemente. Le preghiere sono espressione della preghiera ma non ne costituiscono la pienezza. Pertanto la preghiera va compresa, più che come attività, nel suo mistero di relazione e comunione con Dio, permeante l’intera esistenza. Tale relazione all’inizio implica un esercizio che impegna l’orante nella fatica della concentrazione, ogni qualvolta le distrazioni contribuiscono a rendere arida la preghiera e a causa delle quali occorre concentrarsi per fissare l’attenzione in Dio, (preghiera formale) Il raccoglimento, invece, frutto della pienezza della preghiera, nasce spontaneo dalla pienezza del cuore, che spalanca lo sguardo dell’anima ricca di stupore e di gratitudine indicibile e impossibile da tacere. Tale raccoglimento evoca l’atteggiamento contemplativo del fanciullo, capace di provare concentrazione, stupore e meraviglia dinanzi a tutto ciò che polarizza la sua viva attenzione, simile allo sguardo di Dio dinanzi alla creazione, contemplata come Cosa buona. La pienezza di preghiera non è altro che la possibilità di godere gioiosamente nello stupore contemplativo, in ogni momento della vita scelto o subito ma comunque accolto con gratitudine. In tale pienezza l’anima vive solitaria, al riparo da ogni distrazione interna ed esterna, senza essere tuttavia isolata poiché, essendo in perfetta intimità con Dio nella pienezza della preghiera, condivide la preghiera comune della Chiesa.