Azione o contemplazione? L’autore smaschera l’apparente opposizione, risalendo all’etimologia della parola contemplazione, composta dalla particella con che unisce la radice templ (da templum, porzione di cielo, visione) con azione. Visione e azione sono componenti essenziali della contemplazione, infatti, L’azione senza visione è puro attivismo; la visione senza azione non è genuina.
La visione consente di conoscere un ordine di grado superiore che affascina e rapisce il cuore dell’orante, disposto a lasciarsi trasportare nel totale abbandono all’esperienza del trascendente che, rivelandosi come valore portatore di senso, lo sfida a possederlo, indirizzando ogni azione al suo raggiungimento.
La visione contemplativa trasfigura il cuore dell’orante che assume come misura e modello del proprio agire la gioiosa esperienza che lo pervade e lo abilita – non senza un costante impegno – a perfezionare l’azione sulla visione, come Mosè, che propone al popolo la Legge impressa nel suo cuore dalla visione di Dio sul monte Sinai e costruisce l’Arca dell’Alleanza secondo il modello contemplato.
L’uomo, privo di questa esperienza, potrebbe agire semplicemente per raggiungere uno scopo, rimanendo oppresso dal peso della fatica, senza riuscire a trovare il senso del proprio agire. Scopo e significato possono rimanere separati in un’esistenza consumata nel lavoro pensato ed espletato in opposizione allo svago. La sinergia tra visione e azione restituisce leggerezza ed equilibrio al lavoro, che a causa del peccato originale ha dovuto pagare il prezzo della fatica e del sudore, perdendo la dimensione ludica del dare un nome e scoprire il senso della cura del creato, da accogliere con gratitudine come un dono da custodire e promuovere.