Commentando il passo del Vangelo di Matteo: Ecco lo Sposo viene; andategli incontro (Mt 25,6), l’autore allude alla triplice venuta di Cristo: nell’Incarnazione, ogni giorno nel cuore degli uomini che lo invocano, nel giorno del giudizio. Nella venuta intermedia lo Sposo ricolma di grazie sempre più abbondanti l’anima devota, muovendola e predisponendola all’esercizio delle virtù cardinali, da esercitare nella vita attiva, uscendo da se stessa e dal proprio modo di agire, espresso nella metafora dell’andare incontro allo Sposo che viene.
Il tema della nascita rispecchia l’ordine interno di tali virtù, la gradualità dei frutti delle altre ad esse collegate e la conseguente estirpazione dei vizi capitali; dinamica pasquale che determina la morte dell’uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannatrici e la beatitudine della trasformazione dell’anima, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito. Processo che si compie secondo un tempo proporzionale alla generosità e alla cooperazione della volontà all’azione della Grazia santificante.
L’autore inquadra l’esercizio delle virtù nell’ordine della volontà-amore – intimo sentimento affettivo, nascente dall’amorosa contemplazione dello Sposo – più che in una norma morale imposta dall’esterno, benché tale esercizio non escluda, anzi stia alla radice del progresso morale.
La carità è il motore che infiamma l’anima nell’attesa di una sempre nuova e amorosa visita, insinuandole il desiderio di conformarsi allo Sposo nell’esercizio delle virtù, secondo la giustizia che deriva dalla sua infinita misericordia; inversamente, la pervicace pratica dei vizi è indice di colpevole resistenza all’amore, cecità causata dall’opposizione alla giustizia e alla verità di Dio e superba radice del mancato esercizio delle virtù.
Sebbene il peccato originale abbia oscurato nel cuore dell’uomo la gioia della serena sottomissione a Dio, le potenze dell’anima, nutrite dalla sovrabbondante Grazia, divengono prontamente sollecite nel praticare gioiosamente le virtù in modo che l’uomo di Dio, accostandosi a ciò che è lecito, gusti soltanto ciò che giova al corpo e allo spirito, con moderazione dei sensi corporali e spirituali e come l’uomo dall’occhio penetrante ode le parole di Dio, vede la visione dell’Onnipotente, gli è tolto il velo dagli occhi e conosce la scienza dell’Altissimo (cfr.: Nm 24), oltrepassando con libero slancio d’amore ogni altra conoscenza sensibile e intellegibile e gusto naturale per stabilirsi solo in Dio.
Impegnato nel governo di sé con l’aiuto della grazia, reso ormai invulnerabile al demonio, al mondo e alla carne che non trovano più alcun punto di appiglio nei moti ordinati dell’anima e infiammato dalla carità di Dio, l’uomo virtuoso acquista nel volto e nell’anima i tratti dell’agire misericordioso di Dio verso il prossimo. Egli è l’albero buono che dà buoni frutti di operosa carità e faro che illumina il cuore dei tribolati, verso i quali, mosso dalla compassione che nasce dall’amorosa contemplazione dei patimenti di Cristo, si prodiga in generoso soccorso dei bisogni temporali e spirituali e condividendo l’ansia di redenzione del Salvatore, adempie il “Comandamento Nuovo”, ansioso di ricambiare il suo amore, offrendo perfino la propria vita per la salvezza delle anime.