L’autore, sacerdote gesuita olandese, laureato in psicologia, commentando il racconto dei discepoli di Emmaus (Cfr.: Luca 24), si propone di evidenziare la relazione esistenziale tra il ritmo quotidiano della celebrazione eucaristica e il vissuto quotidiano del credente, compreso come kairos: tempo di salvezza.
Ogni celebrazione eucaristica è paradigmatica di esperienze umane profonde, non sempre tematizzate sul piano della consapevolezza credente, che hanno caratterizzato la vita dei cristiani fin dal tempo della comunità apostolica – tristezza per una perdita, sollecitudine, invito, intimità, impegno – corrispondenti ai momenti liturgici della penitenza, ascolto della Parola, professione di fede, offerta, comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù, missione.
Il cammino dei discepoli del racconto lucano è segnato dalla tristezza e dalla delusione di un ideale svanito; Gesù risorto li incontra in questa situazione esistenziale di smarrimento e di lontananza simile a quella di tanti uomini smarriti per aver subito dolorose perdite destabilizzanti l’equilibrio della persona, fino alla perdita di senso della propria esistenza.
L’afflizione per le proprie perdite rende possibile l’apertura di un varco al dolore, capace di lacerare le false sicurezze e autodifese, costruite dalla persona per mettersi al riparo dalla verità delle proprie ferite e dall’incertezza e mutevolezza della propria esistenza. Nell’esodo da se stessi e dalla propria autocommiserazione è possibile la fruizione della beatitudine pasquale riservata agli afflitti e a coloro che piangono nel Signore, perché in Lui quello che poteva sembrare una perdita in realtà diviene un guadagno; la sua morte, infatti, segna il passaggio all’unione che supera il limite della corporeità.
L’ascolto attento della Parola stabilisce l’incontro immediato, intimo e personale con il Risorto che, stigmatizzando la tristezza e la delusione dei discepoli, mette a nudo le false difese del cuore non ancora aperto all’accoglienza della Parola-Presenza trasformante. Il rimprovero: stolti e tardi di cuore nel credere strappa dalla visione terrena della morte, situando lo sguardo dei discepoli nell’evento glorioso della vittoria di Cristo e dei suoi sulla morte e della novità della sua presenza immediata che trascende la percezione dei sensi.
l’Eucaristia è il luogo di riconoscimento dell’Amore supremo che si dà nel massimo annientamento di sé. L’unione perfetta voluta dal Signore lo sottrae alla vista naturale, aprendo la possibilità di una conoscenza soprannaturale dell’ospite divino che ha preso dimora nel centro dell’anima, luogo inaccessibile alla morte, ai sensi alle potenze stesse dell’anima che accetta la solitudine della non conoscenza intellegibile, sapendo che per troppa luce abbagliante soffre la cecità e per la massima unione soffre l’impressione del doloroso abbandono che la associa alla croce del Salvatore e alla sua gloriosa risurrezione.
Come i discepoli di Emmaus sono tornati trasformati a Gerusalemme per raccontare l’incontro che aveva cambiato la loro vita, così il cristiano vive la comunione eucaristica in uno stato permanente di missione rivolta anzitutto al sostegno della fede dei vicini vacillanti e alla condivisione della gioia dell’incontro con i fratelli nella fede, nel rendimento di grazie di una vita vissuta eucaristicamente.