Autore Lehodey V.
L’abbandono è una conformità per amore, con sfumature particolari che le danno un carattere accentuato di fiducia filiale e di totale dedizione. Insomma esso […] è l’apice dell’amore e della conformità. (LEHODEY V., Il santo abbandono, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995, p. 47).
Autore Barsotti D.
La vita divina è Dio, ma Dio vive nell’uomo nella misura dell’abbandono dell’uomo all’azione divina. Solo il Figlio Unico ha ricevuto lo Spirito senza misura; se Dio dona il suo Spirito all’uomo, l’uomo non lo riceve senza misura. La misura del dono è nella nostra capacità a riceverlo e la nostra capacità è determinata dal nostro libero abbandono alla grazia. La nostra cooperazione è esattamente questo libero abbandono alla grazia, questa libera accettazione del dono divino che Dio aspetta ed esige, cui Egli stesso in qualche modo si adatta non costringendo l’uomo alla Sua Immensità, ma piuttosto, nel volere che l’uomo possa riceverlo solo nella misura del suo stesso abbandono, sollecitando dall’uomo un abbandono che deve essere ogni giorno più pieno, più grande, un abbandono che vada adeguandosi ogni giorno di più all’immensità del dono divino. Abbandonarsi a Dio non è perciò un lasciarsi andare, un riposare, un ricadere in se stessi. Dio si è donato a me, ma io non lo posseggo veramente che se mi sollevo sopra me stesso, in un superamento senza fine. Più intimo a me di me stesso, Egli tuttavia mi trascende e la sua azione non vuole, non opera che una mia “adattazione” a Dio che può e deve essere ogni giorno più piena. (BARSOTTI D., Il mistero cristiano nell’anno liturgico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, p. 197).
Autore Teresa di Lisieux s.
Non desidero più nemmeno la sofferenza né la morte: le amo ancora entrambe, ma è solo l’amore che mi attira. […] A lungo le ho desiderate: ho posseduto la sofferenza e ho creduto di toccare la riva del Cielo, ho creduto che il fiorellino sarebbe stato colto nella sua primavera […] Ora è solo l’abbandono a guidarmi, non ho altra bussola! Non posso domandare più niente con ardore eccetto il compimento perfetto della volontà del Buon Dio sulla mia anima, senza che le creature possano porvi ostacolo. (TERESA DI LISIEUX s., Storia di un’anima, Ancora, Milano 1993, pp. 237-238).
Autore De Caussade J. P.
Tutto quello che le altre anime trovano con la loro iniziativa, quest’anima lo riceve nel suo abbandono, e ciò che le altre conservano con precauzione per ritrovarlo al momento opportuno, quest’anima lo riceve al momento del bisogno e poi lo abbandona, non volendo possedere se non quello che Dio vuol concederle, per non vivere che per mezzo di lui. Le altre intraprendono per la gloria di Dio un’infinità di cose; questa spesso è in un angolo della terra come un coccio di vaso rotto da cui non si può più trarre alcuna utilità. Lì quest’anima abbandonata dalle creature, ma nel godimento di Dio attraverso un amore autentico, intenso e molto attivo benché infuso nel riposo, non si rivolge a nessuna cosa per impulso proprio. Non sa far altro che abbandonarsi e mettersi nelle mani di Dio per servirlo nel modo che lui sa; spesso ignora a che possa servire, ma lo sa bene Dio. Gli uomini la credono inutile e le apparenze favoriscono questo giudizio; ma non è me no vero che, attraverso risorse segrete e canali sconosciuti, essa spande un’infinità di grazie su molte persone che spesso non se ne rendono conto e alle quali lei stessa non pensa. Tutto è efficace, tutto predica, tutto è apostolico in queste anime solitarie. Dio conferisce al loro silenzio, al loro riposo, al loro oblio, al loro distacco, alle loro parole, ai loro gesti, una certa efficacia che opera nelle anime a loro insaputa. E poiché esse sono influenzate dalla presenza occasionale di mille creature di cui la grazia si serve per istruirle quasi inconsciamente, così a loro volta servono da sostegno, da guida a parecchie anime, senza che vi sia nessun legame palese ne un impegno esplicito per ciò. E Dio che opera in loro, ma con interventi imprevisti e spesso sconosciuti, di modo che queste anime sono come Gesù da cui usciva un potere segreto che sanava tutti. Tra loro e lui c’è questa differenza: che il più delle volte esse non percepiscono affatto il fluire di questa potenza e nemmeno vi contribuiscono con la loro cooperazione. Sono come un profumo nascosto che si avverte senza conoscerlo e che ignora esso stesso la propria virtù. Lo stato a cui quello di queste anime mi pare somigli maggiormente è lo stato di Gesù, della santa Vergine e di san Giuseppe. Si tratta dunque di una dipendenza dal beneplacito di Dio e di una passività continua per essere e per agire mossi dalla volontà divina. ((DE CAUSSADE J. P., l’abbandono alla divina Provvidenza, S. Paolo 1986, pp. 28-29).
Autore De Caussade J. P.
DIO, VITA DELL’ANIMA – C’è un tempo in cui Dio vuole essere la vita dell’anima e operare lui solo la sua perfezione in un modo segreto e sconosciuto; allora tutte. le idee proprie, le luci, le iniziative, le ricerche, i ragionamenti sono fonte di illusioni. E quando l’anima, dopo parecchie esperienze tristi a cui l’ha condotta la sua volontà, ne riconosce finalmente l’inutilità, scopre che Dio ha nascosto e confuso tutte le sorgenti per farle trovare la via in lui. Allora, convinta del suo nulla, e che tutto quello che può trarre dalla sua proprietà le è dannosa, si abbandona a Dio per non avere altro che lui e ogni altra cosa da lui. Dio diventa dunque per lei una sorgente di vita, non mediante idee, luci o riflessioni, poiché tutto questo non è più in lei che una fonte di illusioni; ma per effetto e per realtà di grazie nascoste sotto varie forme. Restando tuttavia l’operazione divina sconosciuta all’anima, essa ne riceve la virtù, la sostanza, la realtà attraverso circostanze di ogni genere che crede siano la sua rovina. Non c’è rimedio a questa oscurità, bisogna lasciarsi sommergere. In essa Dio dona se stesso e tutte le cose nella fede. L’anima non è più che un soggetto cieco o, se si preferisce, è simile a un malato che ignora l’efficacia delle medicine non sentendone che l’amarezza; può anche pensare che gli daranno la morte, e le crisi e le debolezze sembrano giustificare i suoi timori. Tuttavia è sotto questa parvenza di morte che riceve la salute, e le prende sulla parola del medico che gliele presenta.
Un tempo l’anima, attraverso idee e illuminazioni, vedeva quanto costituiva il piano della sua perfezione; non è più così nel suo stato presente: la perfezione le si presenta contro ogni idea, ogni luce e ogni sentimento; le si offre attraverso tutte le croci provvidenziali, nelle azioni del dovere presente, in certe attrattive che non hanno niente di buono se non che non portano al peccato, ma che sembrano ben lontane da ciò che è sublime e dalla virtù straordinaria. In queste croci che si succedono a intervalli si nasconde Dio il quale si dà con la sua grazia in un modo misterioso, perché l’anima sente solo la debolezza nel sopportare le croci, il disgusto verso i propri doveri, mentre le sue attrattive la portano a compiere esercizi molto comuni. L’ideale della santità non costituisce per lei che un rimprovero interiore verso le sue disposizioni basse e spregevoli; le vite dei santi la condannano e non trova di che difendersi di fronte a una santità che la riempie di desolazione, perché non ha la forza per raggiungerla, e non sente la sua debolezza come un dono divino, ma solo come viltà. Gli stessi amici e le persone che si distinguono per la loro virtù o la sublimità dei loro ragionamenti la guardano con disprezzo. «Bella santa!» si dice, e l’anima che pensa lo stesso, confusa per tanti sforzi inutili fatti per elevarsi da questa bassezza, si sazia di obbrobrio senza aver niente da rispondere né a se stessa né agli altri. Tuttavia sente come un’inclinazione fondamentale che la tiene ancorata in Dio e le suggerisce impercettibilmente che tutto andrà bene purché ella lasci fare e non viva che di fede. «Certo dice Giacobbe il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Tu cerchi Dio, anima cara, ed egli è dovunque, tutto te lo annuncia, tutto te lo comunica, egli ti passa a fianco, attorno, dentro, attraverso te, si ferma e tu lo cerchi! Come? tu cerchi l’idea di Dio con la sua sostanza; cerchi la perfezione ed essa sta in tutto ciò che spontaneamente ti si presenta. Le tue sofferenze, le tue azioni, le tue attrattive sono enigmi sotto i quali Dio si dà a te, mentre tu corri vanamente alla ricerca di idee sublimi di cui egli non vuole affatto rivestirsi per abitare in te. (DE CAUSSADE J. P., l’abbandono alla divina Provvidenza, S. Paolo 1986, pp. 40-42).
Autore Merton Thomas
La mia preoccupazione principale non dovrebbe essere quella di trovare piacere o successo, salute o vita o danaro o riposo o anche cose quali la virtù e la saggezza – ancor meno i loro opposti: dolore, fallimento, malattia, morte. Ma in tutto ciò che avviene, mio solo desiderio e mia unica gioia dovrebbero essere il sapere: «Questo, Dio ha voluto per me. In questo trovo il Suo amore, e nell’accettarlo io posso restituirGli il Suo amore, darmi con esso a Lui. Perché nel donarmi a Lui lo troverò ed Egli è la vita eterna. (MERTON T., Semi di contemplazione, B. TASSO – E. LANTE ROSPIGLIOSI (Edd), Ed. Garzanti, 1991, p. 23).